Accogliere il disegno di Dio su di noi, rischiare la felicità |
"La chiamata di Dio è sempre uno strappo e una elevazione. La chiamata è una crescita; accettare l'invito vuol dire collaborare, partecipare alla fatica dell'uomo e di Dio; perché la civiltà abbia una pienezza di dignità e una garanzia di gioia. Accettare la chiamata è passare dall'ozio all'operosità, dalla desolazione alla speranza". (Turoldo)
Canto: Lo Spirito del Signore è su di me Salmo 18b: La Parola di Dio è nostra guida La parola di Dio è un grande dono, trasmette una forza che nessun altro sa dare. Vi trovi la salvezza e il bene ed è fonte di sapienza per tutti. La parola di Dio è un messaggio che non cambia col cambiare delle mode. La tua Parola è mia guida, Signore! La parola di Dio è la buona notizia che ci riempie il cuore di gioia. Non è frutto di ragionamenti complicati ma testimonianza di una storia di salvezza. Le persone semplici la leggono con gioia e i poveri ne colgono l'annuncio di liberazione. La tua Parola è mia guida, Signore! Propone scelte fondate sulla verità, dettate da profondo senso di ingiustizia; niente è la ricchezza al suo confronto, nulla il più grande tesoro; dona alla vita un gusto dolce come miele raffinato. La tua Parola è mia guida, Signore! Mi ha richiesto costanza nell'ascolto, La tua Parola è mia guida, Signore! La sua proposta è così radicale che a volte mi sembra impossibile poterla vivere pienamente. Mi sento tanto incoerente, Signore, e te ne chiedo perdono.
La tua Parola è mia guida, Signore! Tienimi lontano dalla presunzione di averla capita una volta per tutte; solo così sarò un vero credente, sempre in ascolto della Parola senza sentirmi un arrivato. Spero che questa coscienza e questo impegno che mi sono assunto trovino sostegno costante in te, Signore, che sento vicino e fonte della mia fedeltà
Dal Vangelo secondo Luca (Lc 1,26-38) Nel sesto mese, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te». A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto. L'angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
Silenzio e risonanze spontanee
Preghiera di abbandono Padre mio, io mi abbandono a Te: fa di me ciò che ti piace! Qualunque cosa Tu faccia di me, ti ringrazio. Sono pronto a tutto, accetto tutto, purché la tua volontà si compia in me e in tutte le tue creature. Non desidero niente altro, mio Dio. Rimetto la mia anima nelle tue mani, te la dono, mio Dio, con tutto l'amore del mio cuore, perché ti amo. Ed è per me un' esigenza d'amore il donarmi il rimettermi nelle tue mani senza misura con una confidenza infinita, poiché Tu sei il Padre mio.
Canto finale: Magnificat
"Che avvenga pure tutto quello che Dio vorrà. Dio non abbandona mai chi in Lui confida." (Daniele Comboni)
Da Michel Arseneault "Un sogno per la vita, Lucille e Piero Corti" Qualche mese più tardi, in febbraio 1994, sbarcavo a Gulu con un' équipe televisiva. Lucille aveva appena compiuto sessantacinque anni, e, non rimessasi completamente dalla frattura, camminava con le stampelle. Dal suo rientro in Uganda, aveva ricominciato a perdere peso. Un'infiammazione dell'occhio, provocata dall'interazione di due medicine, la rifabutina e la claritromicina, velava il suo sguardo. Chiaramente, stava meno bene di quando era a Milano. Mentre la mia équipe riprendeva immagini dell'ospedale, mi mostrò il testo di un'intervista che Arthur Ash, il tennista americano che aveva contratto l' Aids, aveva accordato al periodico People. In un passaggio, da lei sottolineato, egli parlava dell'importanza, per i malati di Aids, di testimoniare la loro malattia. Su una delle foto che accompagnavano il testo, Ash mostrava un bell'aspetto. Lucille mi fece notare che egli era morto qualche giorno più tardi. Mi chiedevo che cosa io ne dovessi concludere. Ho domandato a Piero se dovevo cercare di limitare le mie conversazioni con Lucille, perché avevo l'impressione di toglierle le ultime forze, bombardandola di domande ancor prima della registrazione delle interviste. Mi rassicurò, spiegandomi che quegli incontri, al contrario, le facevano sicuramente bene. Ho scelto di credergli, ma avevo dei dubbi davanti a quella donna che veramente non aveva più la forza, al mattino, di recarsi in ambulatorio. Quando cominciammo a girare, i dubbi scomparvero rapidamente. Lucille diventò un' altra. Da abbattuta, si fece sorridente, perfino radiosa. Nell'atteggiamento non c'era niente di forzato, di falso, ma voleva darsi un contegno fermo, sicuro di sé. La donna di volontà e forte rialzava la testa. Aveva molte cose da dire, e voleva che il messaggio fosse chiaro: la medicina era una «vocazione», l'Aids un «rischio del mestiere». Non voleva, soprattutto, che si avesse compassione di lei! L'Uganda era una scelta che lei assumeva, un dovere che lei seguiva, e Piero, l'uomo che lei amava. Non comprendeva il mio stupore: «Quante decine di migliaia di persone ha operato? E stata presa in ostaggio? Delle infermiere sono state rapite? ldi Amin Dada ha visitato l'ospedale?». Lucille non sapeva dove avesse attinto la forza di fare tutto ciò. Non si era mai posta la questione, perché tutto quello che aveva fatto le sembrava normale. Non aveva fatto niente di particolarmente notevole. La sua ultima risposta, spontanea, fu forse quella più giusta. Le avevo chiesto fino a quando contasse di restare in Uganda. - Piero non può vivere senza l'ospedale. lo non posso vivere senza Piero. Tiri le sue conclusioni. Ciò risponde alla sua domanda? Da Lucia Bellaspiga "Carlo Urbani: il primo medico contro la SARS" Qual è il messaggio che ha lasciato? «Cito ciò che mi scrisse in una lettera: "Si dice in genere che non esiste mai una situazione con il bianco ed il nero ben distinti, ma che si può trovare della ragione e del torto ovunque. lo invece continuo a credere che si possa dire questo è sbagliato o questo fa schifo senza titubare. Occorre saper distinguere dove il Bene sta, o dove il Male si annida". Può essere questo l'insegnamento centrale di Carlo, uomo vero che rischia di persona. lo mi porto dentro anche la sua accanita ricerca della verità nell'amore, e la grande apertura alla mondialità. Una mondialità dal sapore diverso da quella che comunemente si intende oggi: un abitare il mondo con occhi grandi e intelligenti. Ho accolto in lui anche il coraggio, che ogni persona deve avere, di portare a pienezza la propria vocazione (umana, sociale e spirituale). Di non arrendersi di fronte alle difficoltà, riconoscendo contemporaneamente la propria fragilità. Questo nostro mondo non ci sta educando al coraggio, ma molto spesso alla violenza e a mollare la presa di fronte agli ostacoli». Da suor Dorina Tadiello "Mistero di luce" Con queste parole, il più grande dei suoi protagonisti (il dott. Matthew Lukwiya), definiva il terribile ma luminoso dramma dell' epidemia di ebola, che si è abbattuta, tra settembre e dicembre 2000, nella zona di Gulu, Uganda, mietendo numerose vittime tra la popolazione e il personale sanitario e parasanitario. "Mistero di luce" è quello sbocciato dalla fede in Dio e dall' amore eroico verso i fratelli, che ha spinto medici, infermieri e infermiere a prodigarsi oltre ogni limite, per contrastare la furia distruttiva del virus. 'Vivere coscientemente la professione come missione e il rischio come suo "normale" risvolto, tanto da affermare: "Se io lasciassi in questo momento, non potrei più esercitare la professione medica nella mia vita. Non avrebbe più senso per me"..., è la stupenda lezione di umanità vera che ci viene dalla testimonianza dei protagonisti di questa vicenda. l'eroico medico ugandese, i suoi colleghi (il dott. Yoti e la dottoressa suor Dorina), gli infermieri e le infermiere, i missionari e le missionarie del St. Mary's Lacor Hospital di Gulu, nella libertà di scegliere, hanno scelto il servizio alla vita dei fratelli e sorelle, a ogni costo. Molti di loro anche a costo della propria. Senza risparmio e senza rimpianto, pur nell'inevitabile tensione e sofferenza, hanno espresso, al di là di tutto, l'invincibile gioia di chi lotta con il cuore e la mano afferrati al cuore e alla mano di Dio. Con la sublime semplicità di chi condivide, nel calore dell'amicizia e nella compattezza del gruppo, la vocazione alla solidarietà. Ciò che colpisce maggiormente in questa esperienza tragica che non lascia respiro e incalza micidiale ogni giorno di più, senza che siano disponibili rimedi e terapie realmente efficaci a contrastarla, è la capacità dei protagonisti di "prendere in mano" se stessi davanti a Dio e, anziché andare in "tilt" psicologico, affondare nell'esperienza cruciale l'occhio penetrante della Fede e dell'Amore, l'unico che conosce veramente il valore del proprio essere e della vita umana. «Da quando è iniziata l'epidemia- dice il dottor Matthew, il testimone più lucido, che parla per sè e per gli altri-, sto facendo una riflessione che dà una svolta alla mia vita. Riguarda la comprensione della professione medica. Forse, quando la scegliamo, lo facciamo per prestigio personale, perché siamo intelligenti o perché vogliamo salvare vite umane. Oggi capisco che è una vocazione, una chiamata di Dio e che il servizio alla vita è inscindibile dalla disponibilità a donare la propria vita». E parlando del personale caduto "sul campo", non esita a dire: «Sono tutti martiri della carità». Da san Francesco "I fioretti" Come andando per cammino santo Francesco e frate Lione, gli spuose quelle cose che sono perfetta letizia. Venendo una volta santo Francesco da Perugia a santa Maria degli Angioli con frate Lione a tempo di verno, e 'l freddo grandissimo fortemente il crucciava, chiamò frate Lione il quale andava innanzi, e disse così: «Frate Lione, avvengandioché li frati Minori in ogni terra dieno grande esempio di santità e di buona edificazione; nientedimeno scrivi e nota diligentemente che non è quivi perfetta letizia». E andando più oltre santo Francesco, il chiamò la seconda volta: «O frate Lione, benché il frate Minore allumini li ciechi e distenda gli attratti, iscacci le dimonia, renda l'udire alli sordi e l'andare alli zoppi, il parlare alli mutoli e, ch'è maggiore cosa, risusciti li morti di quattro dì; iscrivi che non è in ciò perfetta letizia». E andando un poco, santo Francesco grida forte: «O frate Lione, se 'l frate Minore sapesse tutte le lingue e tutte le scienze e tutte le scritture, sì che sapesse profetare e rivelare, non solamente le cose future, ma eziandio li segreti delle coscienze e delli uomini; iscrivi che non è in ciò perfetta letizia». Andando un poco più oltre, santo Francesco chiamava ancora forte: «O frate Lione, pecorella di Dio, benché il frate Minore parli con lingua d'Agnolo, e sappia i corsi delle istelle e le virtù delle erbe, e fussongli rivelati tutti li tesori della terra, e conoscesse le virtù degli uccelli e de' pesci e di tutti gli animali e delle pietre e delle acque; iscrivi che non è in ciò perfetta letizia». E andando ancora un pezzo, santo Francesco chiamò forte: «O frate Lione, benché 'l frate Minore sapesse sì bene predicare, che convertisse tutti gl'infedeli alla fede di Cristo; iscrivi che non è ivi perfetta letizia». E durando questo modo di parlare bene di due miglia, frate Lione con grande ammirazione il domandò e disse: «Padre, io ti priego dalla parte di Dio che tu mi dica dove è perfetta letizia». E santo Francesco sì gli rispuose: «Quando noi saremo a santa Maria degli Agnoli, così bagnati per la piova e agghiacciati per lo freddo e infangati di loto e afflitti di fame, e picchieremo la porta dello luogo, e 'l portinaio verrà adirato e dirà: Chi siete voi? e noi diremo: Noi siamo due de' vostri frati; e colui dirà: Voi non dite vero, anzi siete due ribaldi ch' andate ingannando il mondo e rubando le limosine de' poveri; andate via; e non ci aprirà, e faracci stare di fuori alla neve e all'acqua, col freddo e colla fame infino alla notte; allora se noi tanta ingiuria e tanta crudeltà e tanti commiati sosterremo pazientemente sanza turbarcene e sanza mormorare di lui, e penseremo umilemente che quello portinaio veramente ci conosca, che Iddio il fa parlare contra a noi; o frate Lione, iscrivi che qui è perfetta letizia. E se anzi perseverassimo picchiando, ed egli uscirà fuori turbato, e come gaglioffi importuni ci caccerà con villanie e con gotate dicendo: Partitevi quinci, ladroncelli vilissimi, andate allo spedale, ché qui non mangerete voi, né albergherete; se noi questo sosterremo pazientemente e con allegrezza e con buono amore; o frate Lione, iscrivi che quivi è perfetta letizia. E se noi pur costretti dalla fame e dal freddo e dalla notte più picchieremo e chiameremo e pregheremo per l'amore di Dio con grande pianto che ci apra e mettaci pure dentro, e quelli più scandolezzato dirà: Costoro sono gaglioffi importuni, io li pagherò bene come son degni; e uscirà fuori con uno bastone nocchieruto, e piglieracci per lo cappuccio e gitteracci in terra e involgeracci nella neve e batteracci a nodo a nodo con quello bastone: se noi tutte queste cose sosterremo pazientemente e con allegrezza, pensando le pene di Cristo benedetto, le quali dobbiamo sostenere per suo amore; o frate Lione, iscrivi che qui e in questo è perfetta letizia. E però odi la conclusione, frate Lione. Sopra tutte le grazie e doni dello Spirito Santo, le quali Cristo concede agli amici suoi, si è di vincere se medesimo e volentieri per lo amore di Cristo sostenere pene, ingiurie e obbrobri e disagi; imperò che in tutti gli altri doni di Dio noi non ci possiamo gloriare, però che non sono nostri, ma di Dio, onde dice l'Apostolo: Che hai tu, che tu non abbi da Dio? e se tu l'hai avuto da lui perché te ne glorii, come se tu l'avessi da te? Ma nella croce della tribolazione e dell'afflizione ci possiamo gloriare, però che dice l'Apostolo: Io non mi voglio gloriare se non nella croce del nostro Signore Gesù Cristo». A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen. Dagli scritti del Comboni dallo Scritto 10 dallo Scritto 114 dallo Scritto 137 dallo Scritto 224 Domande 1 - Quali difficoltà e quali gioie nel cercare di vivere la nostra vocazione?
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