Dal Vangelo secondo Matteo (6,25-34)
Perciò vi dico: per la vostra vita non affannatevi di quello che mangerete o berrete, o neanche per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita forse non vale più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non seminano né mietono, né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi forse più di loro? E chi di voi, per quanto si dia da fare, può aggiungere un'ora sola alla sua vita? E perché vi affannate per il vestito? Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ma se Dio veste così l'erba del campo, che oggi c'è e domani verrà gettata nel forno, non farà assai di più per voi, gente di poca fede? Non affannatevi dunque dicendo: Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo? Di tutte queste cose si preoccupano i pagani; il Padre vostro celeste infatti sa che ne avete bisogno. Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. Non affannatevi dunque per il domani, perché il domani avrà già le sue inquietudini. A ciascun giorno basta la sua pena.
Cammino Laici Missionari Comboniani - Venegono Superiore, 26 Febbraio 2006
Ricercare la giustizia: sobrietà, stili di vita e impegno sociale
Brani per la riflessione
Condivisione e vita da poveri
(dalla relazione del responsabile di zona dell'Associazione Comunità
Papa Giovanni XXIII in occasione di una giornata comunitaria)
Se la fede è un incontro con Dio che genera festa, perché egli vuol promuovere l'uomo, renderlo libero, pieno, felice e non è l' imposizione di mortificazioni o riduzioni, la vita da poveri va vissuta nel segno dell'acquisizione della qualità di vita e della qualità dell'amore e non della rinuncia. La vita da poveri non è una "assenza di cose" ma "la pienezza di Dio", quindi non possiamo separare la relazione con il Padre dalla scelta consapevole e responsabile di non riempirsi di cose; "Il male non sta nell'avere in quanto tale, ma nel possedere in modo non rispettoso dell'ordinata gerarchia dei beni" (Sollicitudo rei socialis n. 28).
Il ben-essere dunque non deve essere ripudiato, anche perché è l'opportunità che consente di avere tempo e disponibilità per vivere con serenità e profondità le relazioni. Chi è ossessionato dalla carenza o mancanza del pane o del lavoro, non ha certamente la voglia di coltivare il dialogo o la ricerca della verità.
Ciò che stordisce, in questo nostro tempo, è la voglia di arricchire e di accumulare.
Siamo immersi in una mentalità economicista e l'attrazione del denaro sta invadendo un po' tutti svuotandoci di idealità e di spinte etiche. E quando penetra nel cuore questo fascino ammaliante, non c'è posto per valori quali la solidarietà, l'attenzione agli ultimi, l'interesse per i problemi mondiali, il rispetto delle differenti culture e, quindi per Dio che è il fondamento di questi valori e la spinta a viverli. Parafrasando il Vangelo si può dire: "Non c'è più posto per Dio nella loro casa".
Una comunità che educhi alla misura del necessario e che mostri libertà sul denaro diventa un forte annuncio evangelico ed insieme una provocante indicazione di liberazione.
Come lasciarci condurre in questo cammino? [...]
"Cercate prima il Regno di Dio". Gesù, il maestro, "lui che per noi da ricco che era si è fatto povero" (2Cor 8,9), ci ha insegnato ad affidarci al Padre celeste, che nutre gli uccelli del cielo che pur non seminano né mietono né ammassano nei granai (cfr Mt 6,26). Non dobbiamo quindi affannarci per il domani, per il mangiare o il vestire, nella precisa indicazioni: "Cercate prima il Regno di Dio e tutte queste cose vi saranno dato in aggiunta!" (Mt 6,33).
Come per le due vedove (1Re 17,7-16; Lc 21,1-4), che hanno dato tutto, Dio provvede continuamente per chi si fida di Lui e getta nel Signore le sue preoccupazioni. La Provvidenza si alza prima di noi, ogni mattino.
Lo stile di Gesù. Gesù visse la povertà, prima ancora di annunciarla a noi. Basta uno sguardo al presepe, alla scelta di Nazaret, al suo stare con la gente senza un luogo dove posare il capo (Lc 9,58), al suo morire solo e nudo sulla Croce.
Con chiarezza insegnò: "Difficilmente un ricco entrerà nel Regno dei cieli. Ve lo ripeto: è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un ricco entri nel Regno dei cieli" (Mt 19,24).
E di fronte alla sfrenata corsa alle ricchezze per sentirci sicuri, egli ammoniva: "Guardatevi e tenetevi lontano da ogni cupidigia, perché anche se uno è nell'abbondanza, la sua vita non dipende dai suoi beni" (Lc 12,15).
La ricchezza che vale non è quella dello stolto, che accumula tesori per sé e poi li perde. Saggio è invece chi arricchisce davanti a Dio, accumulando un tesoro inesauribile, dove i ladri non arrivano e la tignola non consuma. Perché dov'è il nostro tesoro, là sarà anche il nostro cuore (cfr Lc 12,20.33-34). [...]
Lo stile della comunità papa Giovanni XXIII. I beni che la Comunità viene ad avere sono in funzione degli ultimi [Carta di Fondazione - vita da poveri].
"I membri della Comunità non si ritengono proprietari ma amministratori anche del denaro di cui vengono in possesso; tengono per sé lo stretto necessario per vivere poveramente e il resto lo restituiscono agli ultimi in modi diversi, a seconda dello stato e dell'ambito di vita, decidendo assieme al nucleo e con la conferma del responsabile della Comunità, che la guida nel Signore. Possono anche mettere assieme il denaro e ciascuno prenderne secondo il bisogno, coloro per i quali questo modo è aiuto a vivere più poveramente. In ogni modo cercano le forme più radicali per essere veramente ed effettivamente poveri". [CdF - condurre una vita da poveri]
La Chiesa delle origini, come leggiamo negli Atti, nelle Lettere di Paolo e di Giacomo, è stata descritta come una comunità dove "nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era fra loro comune". La fede di quella comunità era significata da gesti tangibili e precisi, che tutti potevano vedere: "Nessuno infatti tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano l'importo di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli; e poi veniva distribuito a ciascuno secondo il bisogno!" (At 4,32-35). [...]
Vivere ed educare alla sobrietà: Come incarnare questa riflessione in modo che diventi segno e segnale per il nostro cammino?
Si deve distinguere tra povertà e sobrietà. La povertà è l'assenza o la carenza dei beni, mentre la sobrietà è il loro uso corretto. I beni sono un dono, un valore, ma non devono essere il centro dell'interesse e del desiderio dell'uomo.
Vivere la sobrietà non è solo per non consumare ciò che spetta agli altri, ma la condizione per tenere la mente sveglia nell'individuare i problemi, nell'accorgersi degli avvenimenti per leggerli in profondità, per cogliere, soprattutto in famiglia, il divenire delle persone.
Da una parte, dobbiamo sentire nella nostra carne lo strazio delle membra ferite denunciando la "disumana ricchezza" che mette cose al posto di Dio e che diventa così idolatria, impedisce di riconoscersi come parte di "un'unica famiglia spirituale", chiude nell'egoismo e, fissando l'attenzione sui vantaggi immediati, rimuove il pensiero della vita futura. Dobbiamo continuamente richiamarci la pericolosità di certe scelte di vita, impostate sull'iniqua ricchezza.
Ma accanto alla denuncia chiara, dobbiamo far sgorgare nei nostri cuori una spiritualità della vita economica, che si caratterizzi per questi valori: "la frugalità, la semplicità, il coraggio della verità, l'essenzialità, l'umiltà, il sacrificio accompagnato in maniera particolare dalla scomodità", [CdF - condurre una vita da poveri], ciò che stiamo imparando a chiamare sobrietà, e che ci rimanda alla disponibilità a condividere i beni, serietà e competenza nel proprio ambito di condivisione, riconoscimento fattivo della dignità di ogni persona, che deve essere posta al centro del sistema produttivo ("il lavoro è per l'uomo e non l'uomo è per il lavoro!").
Nella borsa della spesa tu spendi la tua fede
Dobbiamo educarci ad acquistare solo ciò che serve.
Il vigilare su come si spende il denaro non trova giustificazione solo nell'esigenza di non sperperare, ma soprattutto in quella di non cercare la propria consistenza nelle cose. Esse devono servire e non essere l'oggetto in cui soddisfare i propri appetiti. Più peso si dà alle cose più ci si "cosifica". Il fare a meno di molte cose non necessarie genera apertura verso valori più alti.
Educarsi a scegliere
Non con il criterio del profitto, ma con attenzione alla vita di "coloro che sono nel bisogno"; e oggi sperimentiamo che questa fascia sta aumentando sempre più. Se sviluppiamo l'attitudine alla sobrietà con la convinzione che i soldi sono importanti, ma non assoluti, ne scaturisce una maggiore libertà di scelta in base ai propri doni e alla propria vocazione.
Porre nel proprio bilancio mensile "l'altro"
"I membri della Comunità scelgono liberamente ciò che gli ultimi sono costretti a vivere per forza...". La sobrietà è una virtù che riceve maggior luce e motivazione dalla condivisione, e deve abbinarsi alla solidarietà. Mettere nel proprio bilancio familiare i poveri, significa riservare loro una quota del proprio stipendio. In questo modo si afferma che i beni non sono nostri, ma di Dio e quindi di tutti gli uomini. È una sobrietà di giustizia. [...]
Coltivare la speranza.
"Con la vostra vita da poveri, siete una benedizione per i vostri figli perché li educate a valere per ciò che sono non per ciò che hanno (orecchini, scarpe firmate, vestiti firmati, fumo)... Voi li educate a uscire dall'io gigantesco in confronto di un noi debole, debole che schiaccia l'umanità. Voi li aiutate a crescere in quel "noi" attualmente così fragile, fragile. Voi siete una benedizione per i vostri figli, perché li aiutate a crescere nella coscienza comunitaria...: fratelli, scelti da Gesù per vivere una vocazione santa". (37 lettera trimestrale).
Quanto sentiamo vere queste parole? Quanto sentiamo che la nostra vita è benedizione per i figli generati dalla nostra carne?
È la sapienza dei gesti discreti che costituiscono il tessuto della vita quotidiana; è la saggezza e il coraggio di prevenire con un gesto affettivo che è sempre un piccolo rischio (Lc 19,1-6).
È credere nei fratelli/sorelle non perché sono/siamo bravi ma perché sono dono del Signore e strumenti unici della nostra santificazione.
Domande per la riflessione?
1. Nel mio cammino di ricerca della giustizia quale posto occupa la sobrietà?
2. Mi sento proprietario o amministratore dei beni e dei talenti che possiedo?
3. Come famiglia o come singolo, mi interrogo continuamente e seriamente sui miei consumi, sul mio stile di vita? Sono in continua messa in discussione o penso di aver già maturato uno stile ‘accettabile'?
4. La scelta di alcune realtà comunitarie (ACF - Papa Giovanni XXIII) di mettere in comune ciò che si ha, ciò che si guadagna e prendere solo il necessario, senza accumulare (risparmiare) mi interroga o la considero una scelta da eroi radicali?
5. Che ruolo ha la Provvidenza nel mio stile di vita, nel mio pensare al futuro? È solo una parola della tradizione cristiana o è vera fiducia in Dio, fiducia che mi permette di fare scelte contro-corrente?
6. Nel mio bilancio personale o famigliare c'è un posto riservato agli ultimi, alla condivisione? Lo considero un ‘dovere' che non può mai venir meno o un attenzione che dipende dalle disponibilità contingenti? |