P. Raffaello Savoia Stampa

Voglio riprendere i contatti con un riassunto di questi 5 mesi da quando ho lasciato l'Italia in aprile.

Sono partito quasi senza salutare per un insieme di cose per le quali ho dovuto rinunciare anche a visite che erano necessarie a parenti ed amici soprattuto quelli in difficoltà per salute o altro. E mi è spiaciuto molto. Farà parte anche questo della vita missionaria o meglio di certi missionari?!

Arrivato in Ecuador i superiori mi hanno mandato subito a San Lorenzo, per sostituire un padre che era ammalato e doveva cambiare clima. Così sono finito alla frontiera con la Colombia, nel Nord di Esmeraldas, dove in questi anni le cose sono cambiate. Non sono più le comunità tradizionali nere a caratterizzare la regione, come le ho conosciute nel 1968, piuttosto ora esiste una mescolanza di gruppi umani, in cui i neri sono ancora il gruppo più forte. Hanno perso molto della cultura e tradizioni, anche religiose, a causa della 'modernità' che con le strade e la TV ha portato un fiorente commercio di droga, armi, legname (frutto dell'inarrestabile disboscamento selvaggio) e le grandi compagnie della palma africana con i conseguenti problemi del possesso delle terre dei piccoli contadini.

La spirale della violenza è in aumento, anche perché le autorità per molto tempo hanno chiuso un occhio o anche due, quando alcune non sono diventate forse anche complici in affari poco trasparenti. Minacce sono arrivate anche a noi missionari, per difendere i diritti umani e cercare di salvare persone innocenti. Parlare da lontano è una cosa, ma quando ci sei messo dentro, le cose sono molto diverse... È stata per me una occasione per rinnovare la mia fede e impegno in Gesù Risorto, che è l'unico che ti può dare pace, sia pure nella sofferenza, e ti insegna ad essere compagno di cammino di chi è affaticato, minacciato e senza sostegno.

Potrei raccontare le testimonianze di famiglie in fuga dalla Colombia a causa della guerriglia o dei paramilitari. La loro vita nel terrore, senza nulla, sempre col fiato sospeso, perché sanno che in San Lorenzo circolano tranquillamente elementi dell'uno e dell'altro gruppo. Ma i problemi ci sono pure in San Lorenzo dove si è disgregato il tessuto sociale ereditato dalla tradizione, per cui ora si tratta di far soldi e in fretta e senza tanto lavoro. È un miraggio per i giovani e non giovani che così si giocano la vita. Sono più di sessanta i morti a causa della violenza, e le bande di sicari locali (strumentalizzate secondo la convenienza anche dai gruppi più potenti), hanno la loro parte di responsabilità. Sono quelle che più fanno soffrire gli anziani, i nonni, dato che provengono da famiglie ben conosciute e molto estese, come dei clan. Quando ammazzano uno di un gruppo arriva la vendetta dall'altro, decimandosi a vicenda. Varie volte mi è toccato fare il funerale di uno e subito dopo di colui che lo ha ammazzato. L'aria era carica di tensione. Perfino il vescovo in una occasione disse di fare attenzione a come si parla in chiesa, per non provocare sia pur involontariamente suscettibilità. Tipi armati circolano in macchina e in moto. La gente li conosce, ma nessuno si azzarda a denunciare. Ora hanno cambiato quasi tutti i poliziotti e si spera che per un periodo di tempo faranno rispettare di più la legge. È arrivato anche il GOE ossia il gruppo delle forze speciali e il GEMA gruppo antidroga...

In mezzo a questa situazione già difficile, sono arrivati improvvisamente a ospitarsi alla missione in un primo scaglione 104 desplazados colombiani, in fuga dall'annunciato scontro tra guerriglia FARC e ELN con l'esercito colombiano. La maggioranza assoluta donne (40), bambini (60). Siamo a una quarantina di chilometri dal centro di frontiera Mataje, sulle rive del fiume omonino, che fa da limite internazionale. Poi sono arrivati altri gruppi fino a 650 solamente nelle nostre strutture parrocchiali e duemila nella nostra cittadina. Superarono i duemila. È stato uno sforzo grande perché in San Lorenzo le autorità non sono preparate e soprattutto non ci sono quasi strutture adatte all'accoglienza (la parrocchia è la più equipaggiata data l'esperienza di altre occasioni). Ho partecipato a varie riunioni del comitato di emergenza, incluso quando è arrivata la commissione del Comando Conjunto de las Fuerzas Armadas, che hanno presentato la situazione dal punto di vista militare. Sembra che a parte alcune scaramucce in certi settori di oltre frontiera tra FARC e ELN contro l'Esercito Colombiano, non ci sia stato un vero e proprio scontro armato di grandi proporzioni. La stampa assicura che è stata più una protesta che una fuga dalla zona di guerra. La gente, ad ogni modo, ha risposto con generosità e anche le istituzioni. I Colombiani che sono rimasti più di una settimana hanno riconosciuto tutti di essere stati ricevuti bene e cordialmente. Sono ripartiti dopo che il Governo Colombiano ha assicurato che li avrebbe ascoltati, nella persona di un delegato del Presidente Uribe. La gente povera di San Lorenzo dice perché i colombiani si sono trattati bene e subito, mentre noi siamo nella miseria?

In quanto a me, l'accordo con i Superiori era di aiutare sia pure come 'parroco e superiore' nella comunità fino a quando qualcuno mi dava il cambio, per andare a integrare la comunità di Quito che lavora con i gruppi neri a tempo pieno. Per me sarebbe meglio perché non sono un gigante di salute, e devo per forza stare più attento, se non voglio finire fra gli ammalati non auto-sufficienti di Verona! È probabile un cambio prima di novembre.

Abbiamo avuto l'incontro nazionale di pastorale afroamericana. La segreteria della pastorale afro-ecuadoriana della Conferenza Episcopale ha voluto ricordare i 25 anni di questo cammino. Il Signore mi ha ispirato e soprattutto mi ha dato il coraggio, per iniziare questo nuovo itinerario, come gruppo comboniano e come chiesa in America Latina. Sono arrivate delegazioni dalle varie regioni dell'Ecuador e rifacendo la loro storia hanno riconosciuto che agli inizi della pastorale in ogni zona mi hanno avuto come compagno di percorso. Il vescovo Mons. Eugenio Arellano, vicepresidente della Conferenza Episcopale ha fatto un discorso profondo e ha ringraziato il Signore e anche "el Negro". Ora sia la congregazione dei comboniani come la Conferenza Episcopale Latinoamericana hanno dato risalto e si sono impegnate ufficialmente con gli afroamericani, e per me è una grande gioia ed un segno concreto che lo Spirito ci ha guidati in questo cammino. Vale la pena continuare a dare ciò che si può fino all'ultimo, specialmente per gli afro, come ci insegna chi ci precede con la Sua croce. Infatti quando il Signore ti dà una consolazione, pare che si affretta ad aggiungere qualche problema, perché uno non dimentichi che ciò che riesce a fare di buono, viene da Lui.

Vediamo cosa succederà nel prossimo futuro e preghiamo il Signore perché ci mantenga fedeli nel suo cammino in Ecuador e in Italia.

Saludos,

Rafael