Missione e... motivazioni alla partenza Stampa

LE MOTIVAZIONI AL VOLONTARIATO

 

Ci sono diversi tipi di motivazioni secondo Mario Piazza e quindi la filosofia dello SVI:

 

  • MOTIVAZIONI PERSONALI: sono motivi, orientamenti che ci spingono a realizzare i nostri bisogni/desideri

 

  • MOTIVAZIONI IDEALI: una persona fa volontariato perché aderisce ad un ideale, una serie di valori (religiosi, politici...)

 

  • MOTIVAZIONI SOCIOCENTRICHE: Sono motivazioni personali o ideali che hanno singole persone che poi comunicano ad altri che le condividono mettendosi quindi in gruppo.

 

Le terze motivazioni funzionano meglio. Tutte le motivazioni sono valide, importanti e necessarie. La terza, proprio perché condivisa da altri è più difficile da fare ma è più efficace.

 

Il tutto è riassunto nella seguente tabella:

 

motivazioni

Vantaggi

Svantaggi

Azioni che ne scaturiscono

PERSONALI

Sono motivazioni più potenti, ci muovono all'agire

- Una volta finita la motivazione, finisce l'azione

- Aiutare gli altri perché inconsciamente si vuole aiutare se stessi

- Se il contesto in cui mi trovo non soddisfa più le mie motivazioni/aspettative personali, allora il volontariato viene indebolito e quindi indebolita la mia motivazione


Sono risposte probabilmente a bisogni personali

IDEALI

Non si esauriscono presto come quelle personali

- Tende a portare a soluzioni di tipo standard.

- Agire e interpretare la realtà secondo stereotipi


Risposte standard

SOCIOCENTRICHE

Una volta che si è creato il gruppo, può andare via una persona, ma il gruppo che rimane continua ad esistere e va avanti.

Molto difficile da attuare perché è un procedimento lungo che richiede molto lavoro, sforzo e fatica e non è semplice da ottenere.

C'è un gruppo che negozia motivazione ed azione. L'azione è molto legata alle persone che vogliono raggiungere determinati valori, obiettivi, bisogno del gruppo, esigenza del gruppo che vogliono aiutare

 


FIDEI DONUM: spiritualità di un'esperienza missionaria



Dal 13 al 15 febbraio, si è svolto al CUM, organizzato dall'Ufficio nazionale per la Cooperazione Missionaria tra le Chiese, il Convegno Nazionale dei Direttori dei Centri Missionari delle diocesi con esperienza di Fidei Donum. L'obiettivo dell'incontro è stato quello di raccogliere le preziose ricchezze ecclesiali suscitate dall'esperienza di scambio tra le Chiese locali avviata dall'Enciclica "Fidei Donum", a 50 dalla sua promulgazione.

Fidei donum: motivazioni all'impegno e valori scoperti: intreccio generatore di una coscienza di comunione ecclesiale.

Vorrei essere sciolto nell'andatura, perché il mio affiancamento (e quindi condivisione) alle sintesi del Convegno di Chianciano è molto stretto. E vorrei anche far cogliere che le motivazioni concrete, personali, sofferte, gioiose e martirizzanti dei nostri circa 1200 preti italiani fidei donum sono nate e si sono arricchite in quegli anni da un intreccio: il sacerdote che partiva aveva nel cuore spinte evangeliche, sollecitazioni di spiritualità personale, provocazioni provenienti dal tormentato momento politico e sociale di quei continenti di destinazione, illuminazioni da pagine mille volte citate del Concilio. Queste motivazioni personali si intrecceranno poi sul campo di lavoro missionario con le ricchezze che lo Spirito metterà nel cuore del fidei donum. Quali? Quelle scaturite dall'amore alla gente povera, dall'impegno duro per la liberazione, dal percepire che lì stava nascendo una chiesa più libera ed evangelica, dall'incontro con preti di altre nazionalità, dallo sforzo di assimilarsi ad una cultura ricca e sempre indecifrabile... E da altro ancora. Per me è impossibile non dire "grazie" al Signore e ai tanti preti incontrati, che mi hanno offerto spazi di amicizia e di confidenza nella loro vita!

...adotto le tre parole già ben trovate a Chianciano nelle sintesi: "scambio-comunione-incarnazione", tre torrentelli nati dallo stesso ghiacciaio missionario, che confluiranno nell'unico fiume fidei donum.

Scambio: nelle motivazioni incontro sempre la parola "ricerca dell'essenziale", concretizzato nella sequela di Gesù storico. E' notevole e indicativa al riguardo la sintonia tra il fidei dunum e la spiritualità del Prado o di Charles de Foucauld.

Partono sull'onda del Concilio e delle spinte ideali degli anni '70, sognando una chiesa trasparente, evangelica, in cammino tra e con la gente, coi poveri soprattutto, aliena dal potere e dal denaro. La Chiesa segno del Regno. La sognano e ritrovano nelle comunità di base, in diocesi dove a causa del Vangelo si è perseguitati, ove il vescovo lava i piedi alla sua gente. Le testimonianze loro, come la loro corrispondenza, parla di questi aspetti, forse a volte sublimando o esagerandone la purezza.

Comunione: unità di vita con Gesù Cristo e con la sua Parola. Un'unità che genera la Speranza in loro e nella loro gente, spesso in contesti dove tale virtù è assurda ipotesi di vita. Una Speranza che dai fidei donum rimbalza sulle nostre sponde, di chiese ben fornite: la Speranza viene dai poveri. L'America latina viene denominata il Continente della Speranza e Maria viene invocata Madre della Speranza. In quelle chiese povere e provate nascono vescovi, che percorrono il nord America o l'Europa parlando di Utopia di Dio. E' la Speranza, coltivata alla partenza e rifiorita laggiù.

Se tale Speranza è posta in Dio e nasce dai poveri, essa sfugge al potere e non poggia su nessun potere. Si contesta la dittatura oppressiva, si predica la fraternità, si parla di una chiesa che nasce "dal popolo". Ricordate quelle descrizioni ideali e che però, da altri fronti ecclesiali, sono talvolta contestate?

Da tutto questo terreno nasce un orizzonte generale di Vita, in contrasto - a volte persino militante - contro tutto ciò che genera morte. E qui si può collocare, idealmente e nei fatti, tutto il lavoro promosso dai nostri preti e che si può ricondurre alla "promozione umana". Tutto questo enorme volume di lavoro e di risorse, a volte discutibile in qualche movenza, viene da loro vissuto come dono pasquale, come obbedienza al Dio della vita Da questo modo di concepire la promozione della gente e la lotta per la giustizia si può percepire come essi facessero unità tra Evangelizzazione e promozione umana. È tipico della loro spiritualità fare unità tra spirito e corpo, tra felicità della vita e paradiso, tra contemplazione e lotta per la liberazione.

Incarnazione: dall'assumere i ritmi della gente, all'imparare con fatica la loro lingua e musica, all'interpretare e vivere la loro religiosità popolare... Questa della missione come incarnazione è una motivazione che chiamerei teologica; ma essa assume presso i nostri preti colori diversissimi, nei quali si rispecchia spesso anche il temperamento personale del prete italiano.

 

I LAICI MISSIONARI
formazione - Invio - Partenza - Rientro

Tratto da
Commissione Missionaria Regionale Lombarda - I laici missionari ad gentes nella cooperazione tra le Chiese - 2002

 

"Dire che è venuta l'ora del laicato non costituisce uno slogan di moda,
ma risponde a una realtà già in atto e a un'urgenza sempre più pressante.
Ciò è particolarmente vero in riferimento alla missione evangelizzatrice,
alla collaborazione e solidarietà tra il popoli"

  • 1. L'apertura dei laici alla missione ad gentes è un dono che lo Spirito vuol fare oggi alla nostra Chiesa. Sono sempre più numerosi, infatti, i laici che, conseguita una buona preparazione, desiderano attuare una scelta concreta di evangelizzazione ad gentes e di promozione umana e chiedono di essere inviati ad annunciare Gesù Cristo e servire i più deboli, con uno stile di vita sobrio ed essenziale, staccandosi dal proprio mondo per entrare in una cultura diversa e lì porsi al servizio del Vangelo.
  • 2. L'ottica di partenza è quella del "dono": l'orizzonte generale è invece quello dello "scambio", riconoscimento della ricchezza della comunità che accoglie e del bisogno di crescita della comunità che invia; nell'esodo è insita infatti anche l'idea del ritorno per arricchire la Chiesa da cui si è partiti, attraverso la testimonianza e il rinnovato coinvolgimento nella vita delle nostre comunità.

"Andrò anch'io, come i profeti, i missionari, i martiri, lontano dalla mia terra,
a cercare fratelli e sorelle con i quali farmi prossimo.
Camminerò per le strade del mondo e andrò anche là dove non ci sono strade.
Andrò per incontrare il mio fratello e la mia sorella
nelle savane, nel silenzio del deserto, nella città e nelle sue periferie,
in ogni luogo dove uomini e donne nascondono le loro ferite
e soffocano il proprio gemito di affamati e di assetati.
Non avrò timore se, per chinarmi sui feriti, gli emarginati, gli ultimi della terra,
verrò anch'io emarginato e ferito.

E diventerò con loro braccia, cuore e voce di un Dio che chiama tutti per nome e ama perdutamente".

 

 

Vocazione e identità del laico missionario

  • 1. Vocazione. Quella del laico per la missione è una vera vocazione di persona chiamata a partecipare alla missione universale della Chiesa. Con la gioia del dono gratuito di se stesso, egli avvicina l'altro e cammina con lui sulla strada del Regno. Per questo i cristiani devono unire all'annuncio del Vangelo e al culto liturgico un grande impegno sociale, diventando spesso, soprattutto nel sud del mondo, baluardo ed unico sostegno per i poveri e gli oppressi.
  • 2. Battesimo. Il laico missionario ad gentes sente esplicitamente e fortemente la responsabilità per l'evangelizzazione, e la sente come diritto/dovere che gli viene dall'essere battezzato e dunque associato alla missione di Gesù stesso. A lui è richiesta una testimonianza cristiana che già di per sé è evangelizzazione, oltre ad una grande capacità di ascolto e dialogo, in una logica di reciprocità, di scambio, di servizio umile e attento di quel popolo, e di quella Chiesa, cui è mandato. Vive dunque l'inserimento nella comunità cristiana di invio e di missione come cosa necessaria, non solo alla sua vita cristiana, ma anche alla sua opera di evangelizzatore. Egli desidera donarsi e condividere la propria esperienza di fede con altre culture, altre mentalità, altre storie, ed è disposto anche a fare da "apripista" in quelle zone ove è possibile solo una presenza missionaria di tipo laicale, come per esempio in molte regioni del continente asiatico.
  • 3. Fede e quotidianità. Sebbene noi occidentali ci sentiamo spesso poco portati a coniugare obiettivi socio-economici con obiettivi religiosi, finendo in quel distacco tra fede religiosa e vita quotidiana che "va annoverato tra i più gravi errori del nostro tempo" (GS 43), le popolazioni del sud del mondo ci insegnano invece la necessità di coniugare la fede con le problematiche quotidiane del vivere. Se questo implica in modo particolare di non separare l'evangelizzazione dalla promozione umana, sollecita pertanto anche programmi di sviluppo umano che non siano sprovvisti di spirito e intento religioso. Infatti la progettualità senza spiritualità è giustamente considerata da questa gente del sud del mondo poco attendibile e non affidabile.
  • 4. Missione e volontariato. Questi popoli ci dicono quindi che il volontariato "tecnico" non può essere distinto dal volontariato "missionario" e che la stessa Parola di Dio annunciata è credibile solo se apre ad una dinamica di liberazione integrale. È questa la modalità con la quale hanno operato ed operano molti volontari delle ONG cristiane, anch'essi espressione di una Chiesa che invia ed a servizio di una Chiesa che accoglie. Al volontariato internazionale di ispirazione cristiana verrà richiesto di operare all'interno di un progetto di promozione umana, concordato con la diocesi che accoglie, vivendo nel contempo una testimonianza evangelica di carità e condivisione, mentre al laico missionario ad gentes verrà richiesto di mettersi a servizio della diocesi locale nei settori pastorali esplicitamente indicati dalla diocesi stessa, senza per questo distogliere lo sguardo dalle necessità impellenti in ordine allo sviluppo umano.
  • 5. Consapevolezza. Si tratta di coppie o singoli che hanno maturato una coscienza missionaria dopo aver vissuto un'esperienza di impegno significativo nella propria parrocchia, in diocesi o in un organismo ecclesiale, attraverso comportamenti consapevoli ed equilibrati nella vita quotidiana e nell'appartenenza responsabile alla Chiesa. Inoltre il laico missionario ad gentes possiede una solida formazione cristiana, acquisita attraverso studi o corsi di formazione, eventualmente da completare con opportuni corsi sui temi specifici della missione ad gentes.

La formazione del laico missionario

Il mandato missionario

  • 1. In tutti i Vangeli compare un esplicito mandato da parte di Gesù ai suoi, affinché portino ovunque la buona notizia. In alcuni testi esso è formalmente rivolto ai dodici, in altri è esteso ai discepoli. Dalla loro lettura si ricavano alcune indicazioni generali:
  • a) Gesù affida personalmente e a suo nome la missione evangelizzatrice (Mt 28,16-20; Mc 3,13-19; Lc 24,44-53; At 1,6-11). Essa è affidata prima di tutto agli apostoli collettivamente. Nessuno contesta questo punto, né la posizione di "privilegio" di Pietro tra i dodici. Luca tuttavia già nel Vangelo allarga ad altri la missione (vedi Lc 10,1-20 e poi soprattutto gli Atti) vedendoli coinvolti nell'apostolato da Gesù stesso. Giovanni si muove addirittura in una prospettiva in cui è la comunità cristiana a divenire soggetto della missione (cfr. Gv 13,35). L'approfondimento della consapevolezza della comunità cristiana attestato dal Nuovo Testamento va dunque nella direzione di un sempre più ampio coinvolgimento di tutti i discepoli.
  • b) Il contenuto della missione consiste nell'annunciare il Regno e nel "guarire" da varie forme del male. Questi aspetti sono presentati come inscindibili. Giovanni e Luca, soprattutto, insistono sull'aspetto della testimonianza e insieme su quello della Parola (oltre ai loro rispettivi Vangeli, si vedano Apocalisse e Atti).

 

Lettere di san Daniele Comboni

[6855] La tintura Perigozzo è un'ottima medicina pel Sudan, decantata da tutti i missionari e Suore nostre per molte malattie, febbri, purghe etc. Ma chi più di tutti la esalta è D. Luigi Bonomi, che mi pregò con una nota a me consegnata a Nuba, di mandargliene da Khartum. Nell'Africa Centrale (non si calcolano questi sacrifici, né cent'altri, né in Europa, né in Roma, e si misura per ignoranza l'Africa Centrale sul passetto di tutte le altre missioni; ma noi siamo superiori e queste bassezze e picciolezze, noi lavoriamo e soffriamo per puro amore di Dio e per l'anime e tiriamo avanti), come dice spesso Sr. Grigolini, tre quarti dell'anno, e di ciascun anno, si passano, dico, tre quarti di ciascun anno in languori, sfinimenti, prostrazioni etc. in seguito di che si pena a lavorare, si ha inappetenza, si dorme poco, etc. etc. (ed io ne passo, posso dirlo cinque sesti di ciascun anno, in questo stato; ma sono forte di animo, mi faccio coraggio, e tiro avanti. L'infelice e mal capitata Virginia invece soffriva meno, e lavorava per quattro, come le nostre Suore veronesi di qui sanno. Ora la tintura Perigozzo presa in questo stato, fa benissimo: ma fa bene anche per prevenire febbri, etc. etc.

[7141] Io non vivo e non son mai vissuto se non per salvar le anime, e non per perderle, come hanno fatto forse loro cacciando in quel modo il fratello di Virginia da Verona e mettendolo sul pericolo di perdersi eternamente.

[4896] Noi speriamo che tutto sia scritto nel gran libro di Colui al quale abbiamo consacrato tutta la nostra vita, una vita piena di pericoli e di dolori, per raggiungere l'unico sublime scopo di strappare le anime al potere dello spirito nemico. Così dopo 18 giorni di viaggio dacché lasciammo i Nubani, benché stremati, tuttavia ancor vivi giungemmo alla nostra residenza di El Obeid. Se abbiamo scampato tanti pericoli, lo dobbiamo alla divina grazia. Fummo accolti con indescrivibile gioia dai nostri, che erano in non piccola angustia per causa nostra. Per disposizione di Dio capitò che si trovasse presente in questa capitale il bravo Dr. Pfunt, medico e naturalista. Io affidai a quest'uomo eccellente i miei malati che dopo ripetuti e violentissimi attacchi di febbre, che assumevano le forme più svariate, e dopo aver preso molte medicine, con l'aiuto di Dio tutti, senza eccezione, ricuperarono nuovamente la loro salute, poiché Dio non abbandona mai chi confida in Lui.

[3159] Io prendo a far causa comune con ognuno di voi, e il più felice de' miei giorni sarà quello, in cui potrò dare la vita per voi. - Non ignoro punto la gravezza del peso che mi indosso, mentre come pastore, maestro e medico delle anime vostre, io dovrò vegliarvi, istruirvi e correggervi: difendere gli oppressi senza nuocere agli oppressori, riprovare l'errore senza avversare gli erranti, gridare allo scandalo e al peccato senza lasciar di compatire i peccatori, cercare i traviati senza blandire al vizio: in una parola essere padre e giudice insieme. Ma io mi vi rassegno, nella speranza, che voi tutti mi aiuterete a portare questo peso con allegrezza e con gioia nel nome di Dio.

[4049] Sono 27 anni e 62 giorni che ho giurato di morire per l'Africa centrale: ho attraversato le più grandi difficoltà, ho sopportato le fatiche più enormi, ho più volte visto la morte vicino a me e, malgrado tante privazioni e difficoltà, il Cuore di Gesù ha conservato nel mio spirito e nel cuore dei miei Missionari e delle mie buone Suore di S. Giuseppe dell'Apparizione, la perseveranza, in modo tale che il nostro grido di guerra sarà fino alla morte questo: "O Nigrizia o Morte!"



Atti capitolari 2003 Missionari Comboniani

 

Capitolo II

LA MISSIONE COMBONIANA OGGI

 

A) Il Cuore e la Croce di Cristo al centro della missione

Chiamati gratuitamente dal Padre, appassionati dall'amore di Cristo Buon Pastore, consacrati dal suo Spirito e seguendo l'esempio di Daniele Comboni - che ci aiuta ad essere santi e capaci - siamo mandati nel mondo a testimoniare ed annunciare la Buona Novella del Regno, lasciandoci interpellare dalla realtà, con atteggiamenti di ascolto e dialogo, di passione e tenacia.

La contemplazione del Cuore trafitto di Gesù Buon Pastore costituisce per Comboni la sorgente e il fuoco del suo impulso missionario, l'origine e il modello del suo amore incondizionato verso i popoli dell'Africa.

In tante situazioni di povertà, abbandono e morte, egli scopre nel Cristo crocifisso la presenza efficace del Dio della vita e una moltitudine di fratelli da a mare e valorizzare, portando loro il Vangelo. Essi diventano la sua unica passione.

Vivendo questa stessa esperienza di contemplazione apostolica, anche noi:

  • siamo radicati in un forte senso di Dio che dà sapore alla nostra vita (al puro raggio della fede, S 2742)
  • viviamo la gioia della donazione totale, condividendo la forza liberatrice del Vangelo con i crocifissi della storia (fare causa comune, S 3159)
  • come comunità interculturali di fede e di amore testimoniamo la riconciliazione che viene dal Signore (cenacolo di apostoli, S 2648)



Daniele e Silvia scrivono...

Corriamo verso il tramonto

per tuffarci nella notte oscura

e avvolti dal chiarore delle stelle

intonare canti di speranza

aspettando fra danze ritmiche

l'alba di un nuovo mondo!

Elisa Kidanè

 

E così, finalmente, il momento della partenza è ormai prossimo. Dopo avere inseguito a lungo questo sogno ora tutto è realtà: domenica 10 novembre partiamo per il Mozambico.

Molti sentimenti si incrociano e scontrano in noi in questo momento ed il descriverli e' inutile, bisogna solo viverli così come vengono cercando di non farsi prendere troppo dall'emozione.

L'avventura iniziò all'incirca 6 anni fa quando sorse spontaneo nel nostro cuore il desiderio della partenza. Allora non erano ancora ben focalizzate le nostre motivazioni, e la ragione di questa nostra "pazzia", come la chiamavano in molti, non ci era ben chiara. Nonostante questo avevamo però la netta sensazione di un richiamo che doveva essere seguito, come se ci fosse un filo sottile ma resistentissimo che legato al nostro cuore lo tirava verso un qualcosa di indefinito: cercare di opporsi a questa stretta significava non sentirsi bene, non essere a posto con se stessi e allora decidemmo di tagliare la testa al toro e partire subito per verificare senza troppi cincischiamenti se quello che sentivamo dentro fosse solo una nostra fissazione o avesse invece delle basi più profonde.

Passammo 6 mesi in Brasile, dove lavorammo in una casa di accoglienza per bambine figlie di prostitute: il nostro impegno comprendeva di tutto, dallo svegliarle, al portarle a scuola, al darle da mangiare fino al metterle a letto.

Fu un periodo molto intenso, duro e difficile ma stupendo per i rapporti di affetto sorti con le bambine e con i brasiliani conosciuti e divenuti nostri amici. Fu anche un periodo molto istruttivo, che ci fece capire molto sulle problematiche dell'aiuto agli altri e che ci maturò parecchio come coppia. Ritornammo stanchi ma gasati e nonostante tutte le avversità incontrate verificammo che il nostro desiderio non si era affievolito bensì ingrandito. Capimmo però che la missione è una cosa seria e che, per poterla affrontare nel migliore di modi, bisogna essere aiutati da qualcuno che se ne intende, da qualcuno che ha l'esperienza e le strutture per poter preparare e sorreggere.

Decidemmo allora di affidarci ad una congregazione seria e di lunga esperienza per la continuazione del nostro cammino e la scelta cadde sui Comboniani per un motivo semplicissimo: io abitavo ad Olgiate Comasco, Silvia a Malnate e i Comboniani stanno a Venegono che è a metà strada tra i nostri paesi. Con loro abbiamo iniziato a curare la nostra preparazione nel 2000, una preparazione di 3 anni che si focalizzava nei primi 2 anni soprattutto nell'aspetto umano e nell'introspezione personale, cose importantissime se si vuole far bene nell'ambito di aiuto all'altro perché non si può aiutare chi ha bisogno se non si è sereni con la propria persona cosi come non si può lottare per un ideale se non si ha un'idea di se stessi: si finisce solo per fare del male a se e anche agli altri. Lo sottolineava già molto tempo fa C. de Foucauld: "Si fa del bene non nella misura di ciò che si dice e di ciò che si fa, ma nella misura di ciò che si è".

Il terzo anno è stato invece più intenso e pratico: siccome è importante anche la professionalità e la tecnica per poter lavorare incisivamente ed efficacemente abbiamo partecipato a vari corsi di organismi internazionali che affrontavano le tematiche e le problematiche della cooperazione allo sviluppo. Per aumentare le nostre capacità di rapporto e contatto con gli altri abbiamo trascorso un periodo di convivenza in una comunità di famiglie aperta all'accoglienza dei più bisognosi.

Io e Silvia, dopo tutti questi anni, non ci sentiamo pronti a partire, ma ci sentiamo chiamati a partire. E' questa la più grande lezione di questi anni: con le sole nostre forze non riusciremo a fare granché nella nostra vita ma solo con la fiducia in un Dio che ci vuole bene e ci ama nonostante tutto abbiamo la speranza che le nostre opere saranno da lui trasformate in qualche cosa di bello. Affidarsi a lui è la via per poter vivere sereni le nostre decisioni, dalle più stupide alle più importanti.

Inizia quindi una nuova avventura per me e Silvia, un'avventura che ci porterà in Mozambico...

In Mozambico per salutarsi usano dire "estamos juntos". Significa "rimaniamo uniti". Se lo ripetono anche quando la separazione potrebbe essere di lunga durata perché la vicinanza che conta non è quella fisica, ma quella del cuore.

ESTAMOS JUNTOS Daniele e Silvia

 

Lettera di dicembre 2002

 

... non mi sento male o in crisi solo dopo due mesi dalla partenza, anzi, sto benissimo e sono convinto sempre di più di quello che faccio. Io e Silvia avevamo capito fin dal nostro periodo in Brasile che la missione non è così romantica come ce l'eravamo immaginata. Sapevamo già che il povero non è come ce lo presentano le varie pubblicità pro-beneficenza che passano in TV. Il povero quasi sempre è sporco, puzza, si comporta in maniera maleducata e ignorante, e se ha un minimo di coscienza riguardo alla situazione di ingiustizia presente nel mondo, nutre pure rancori nei nostri confronti.

E come non potrebbe nutrirli quando sa benissimo che chi decide la diminuzione del suo stipendio vive in una casa molto migliore della sua e può permettersi molte cose più di lui, come viaggiare in aereo, avere una macchina, comprare i vestiti di cui ha bisogno o andare al ristorante? Non è forse lo stesso rancore da me provato nei confronti di certi capi di lavoro o di certi governanti italiani quando prendevano decisioni che influenzavano negativamente la mia vita?

Vado con Silvia all'unico supermercato di Beira in stile occidentale, uno dei pochi posti dove si trova del latte, alimento pochissimo usato dai mozambicani. Ne compro 2 scatoloni e spendo 20 euro. Josè, un lavoratore del nostro progetto che si occupa della cucina, guadagna 50 euro al mese ed è gia tanto. Se mi prendesse di nascosto un cartoccio di latte, mi chiedo se io al suo posto non farei lo stesso. Se lavorassi per delle persone per le quali un litro di latte è poca cosa e non si accorgono se viene a mancare, non lo prenderei pure io? Come mi comporterei se avessi dei figli ai quali non posso garantire le cose più indispensabili, mentre ho sotto gli occhi tutti i giorni il tenore di vita spesso esagerato di altre persone?

Sto iniziando a comprendere questa realtà nella quale mi trovo, ma capisco altrettanto bene che non posso far finta di niente se percepisco che qualcuno sta facendo il furbo, perché sarebbe la licenza per provare a rubare di più, e lo spunto per altri a fare lo stesso. E capisco altrettanto bene che abituato come sono ad un certo tenore di vita, sarebbe utopico cercare di vivere nel loro stato di povertà.

Mi confido con suor Milena, giovane settantenne da decenni in Mozambico.

"La prima cosa che si impara stando qua, in mezzo alla povera gente, è l'intransigenza. Riconoscere quando è arrivato il momento del rifiuto e trovare la forza di negare aiuto è la prima lezione che dall'Africa si deve apprendere. Anche se ciò significa andare contro quello che il nostro cuore ci dice bisogna imparare che essere duri non vuol dire essere cattivi, e la fermezza di carattere unita alla misericordia è un equilibrio difficile ma necessario se li si vuole aiutare veramente."

Così, tra mille pensieri e distrazioni, mi accorgo che sotto l'albero di Natale (che non ho fatto) Gesù Bambino mi fa trovare, anche se non me lo merito, un regalo. È un regalo tutto speciale, perché non è come gli altri anni una cosa, ma bensì un impegno, un compito da portare avanti e curare con molta attenzione. Un compito difficile e mai completamente realizzabile, nonostante i miei sforzi e la mia buona fede.

Dovrò riuscire ad accettare che la carità richiede scelte difficili, decisioni dure, spesso conflittuali e non sempre comprese da chi viene aiutato. Dovrò capire che l'errore è sempre possibile e che la cosa giusta non è così chiara come potrebbe sembrare. Il senso globale delle cose, le nostre ideologie e credi, poche volte combaciano pienamente con la realtà e la sfida più grande è riuscire a rimanere in equilibrio fra cielo e terra, tra orizzonti trascendenti e recinti sensibili. Devo imparare che mentre i miei occhi hanno bisogno di rimanere fissi su di un Assoluto che può essere Dio, il Vangelo o le grandi idealità umane, le mie mani devono lavorare nella polvere che a volte la vita ci getta in faccia, dove "i principi morali, visti nella loro astrattezza, possono giungere a tale grado di falsificazione da rovinare l'uomo nella sua concretezza" (Bernanos).

È un impegno che penso riguardi l'esistenza di tutti quelli che cercano di tirare avanti giorno per giorno fra mille contraddizioni e momenti difficili, senza mai perdere la speranza di diventare persone migliori in un mondo migliore.

È lo stile di vita di quelle persone (e io non sono ancora una di quelle) che lottano con tutte le loro forze, senza aspettarsi alcuna riconoscenza o ringraziamento, convinte che il bene altrui sia una battaglia che non sempre si riesce a vincere, ma che bisogna comunque combattere."

Io e Daniele ci troviamo a metà della nostra esperienza missionaria e siamo sempre contenti della scelta fatta: il lavoro è impegnativo e non ci permette di dedicarci ad altro, soprattutto Daniele, ma dà anche molte soddisfazioni; ci sentiamo privilegiati per poter partecipare ad un progetto che sta dando tanto ai Mozambicani: vedere le missioni che crescono, la gente che frequenta con sempre maggior fiducia i dispensari e la buona percentuale di promossi nelle scuole delle nostre missioni, incoraggia a impegnarsi. Certo, lavorare a fianco di p. Ottorino non è sempre facile, per le continue sfide che lancia e per l'impegno che pretende, ma lo spessore umano e di fede che lo animano fanno di lui un "vero comboniano" e con questo spirito ci sentiamo di essere sulla strada giusta.

Ora ci troviamo in un momento decisamente particolare: tra un mesetto diventeremo genitori e questo cambiamento sta già influendo notevolmente nella nostra vita e anche nel lavoro. Io ho dovuto rivedere il mio ruolo all'interno del progetto e ho smesso di viaggiare a causa di malaria e strade dissestate, ma anche in questo modo ho potuto dare il mio contributo e nello stesso tempo godermi la gravidanza.

Purtroppo le condizioni delle strutture sanitarie in Mozambico non danno alcuna fiducia, e anche per il fatto che questo è il nostro primo figlio, ho deciso di tornare in Italia per il parto: è brutto doversi separare in un momento tanto delicato, ma quando abbiamo scelto questa strada abbiamo messo in conto che sarebbe successo, ed ora ci siamo. Devo dire che stiamo riuscendo a vivere serenamente questo distacco, anzi, ogni tanto fa bene separarsi: queste piccole prove ci stanno rafforzando come coppia.

Il bilancio è dunque positivo e siamo contenti della vita che stiamo vivendo, sempre piú dentro al progetto che Dio ci ha dato e, sebbene sempre piú stanchi la sera, felici per quello che il Signore ci dona e pronti a vivere con serenitá quello che deciderá di darci in futuro.

Silvia e Daniele



... Non è una strada facile per chi non la sente completamente dentro e che forse non la condivide e non la comprende totalmente, ma per quanto mi riguarda ho scelto di percorrerla, felice di poterlo fare assieme ad una persona speciale. È per questo che quando parlate dell'esperienza fatta in Benin, tra gioia, fatiche e delusioni, penso a quello che io ora sto vivendo qui. Tante emozioni difficili da definire e che come dici tu, Ale, sono materiale su cui lavorare... un lavoro che spaventa perché non si sa dove puó condurre...

Spero che la piccola vacanza che ci prenderemo settimana prossima mi aiuti a fare un po' di pulizia in testa! Sento proprio il bisogno di fare una pausa e riportare alla luce le vere motivazioni e tutti gli ideali che mi hanno sempre fatto muovere. Ho anche letto i brani del vostro prossimo incontro e giá qualcosa comincia a girare dentro la mia testa... come mi piacerebbe poter partecipare! Questo tipo di condivisioni mi mancano molto... qui non è molto facile fare queste cose...

Ora sto cercando di organizzare le idee per fare il nostro "foglio informativo" dei LMC che lavorano in Mozambico, dato che il primo numero è previsto per l'inizio del prossimo anno. Ognuno di noi dovrá scrivere qualche cosa, soprattutto chi finisce il periodo di missione e chi lo inizierá tra poco: sta per partire Delia, una ragazza messicana che ha lavorato alla scuola industriale di Carapira come insegnante di informatica, e stanno per arrivare 2 brasiliani e un italiano, sempre destinati alla missione di Carapira, dove si sta cercando di far nascere il primo progetto per LMC che li vede veri protagonisti delle proprie scelte.

Sembra proprio che le cose si stiano delineando, anche perché il provinciale, P. Massimo, é molto lanciato con i laici; ci crede e ha capito che se si vuole che il movimento dei laici funzioni realmente e sia di vero aiuto bisogna creare delle basi solide.

È bello vedere questo interesse dei Comboniani intorno a noi, dà coraggio. E non parlo solo di quello che sta succedendo qua ma anche di quello che state facendo nascere li. Per noi è importantissimo sapere che non siamo un isola solitaria in mezzo al mare ma che ci sono dei ponti che ci uniscono ad altre realta con le quale crescere insieme, in un carisma unico, in un progetto che sia globale. È la nostra unione che fa la forza e la comunicazione, il contatto, lo scambio ne sono la base...

È bello sentire che anche il vostro cammino missionario comboniano continua. Ci rincuora, non ci fa sentire soli, e soprattutto ci dimostra come questo seme che abbiamo nel cuore può diventare un albero forte e grande.

Anche noi andiamo avanti, non senza momenti di dubbio, ma si continua. I frutti hanno bisogno di tempo per maturare e nel frattempo si continua a lavorare affinché siano buoni...

Noi stiamo abbastanza bene, stiamo passando una fase di riflessione che ha come punto centrale la seguente domanda: "ma che cosa stiamo facendo qua?".

Come vedete un tema leggerino.

Il fatto è che, dopo quasi tre anni di presenza in terra di missione, ci stiamo accorgendo di come tutto sia volato via rapidamente e vorticosamente senza lasciar spazio ad un vero ascolto del nostro cuore che ora, giustamente, grida attenzione con forza e ci chiede di rivedere il nostro stile di vita e di relazione con gli altri.

Bella frase lunga ad effetto, né? Ora però vi chiederete: nella pratica che vuol dire?

Nella pratica vuol dire è giunto il momento di ricostruirsi perché quello che siamo e che facciamo ci va un po' stretto. Il progetto esmabama (come avete potuto vedere) spreme le persone sul piano professionale ma poco richiede su quello spirituale, che è la base della nostra ricerca.

Che fare? Ci stiamo pensando.

La provincia comboniana mozambicana, ed in special modo il suo provinciale e nostro amico Massimo Robol, sono seriamente interessati ad iniziare uno progetto che preveda la presenza dei laici missionari in una forma diversa (forse anche loro si sono accorti che non solo a noi ma un po' a tutti serve uno stile operativo nuovo).

Nel concreto è stato offerto a me e a Silvia di avviare l'apertura di una comunità a Beira che sia punto di appoggio per i laici che andrebbero a lavorare nelle missioni e per gli amici che vorrebbero venire a visitare questa realtà per conoscere, condividere, fare esperienze di missionarietà. Il progetto dovrebbe partire nel 2006.

Ci eravamo proposti di rimanere in Mozambico non piú di 4 anni (la cui scadenza é fine 2006) per motivi vari.

Ora però questa nuova prospettiva ci apre orizzonti nuovi e, sebbene pensiamo che sul nostro piano personale sarebbe meglio un rientro, siamo anche "tentati" (con Dio a volte bisogna usare questo verbo) da una proposta che necessita di coraggio ma che potrebbe aprire orizzonti nuovi non solo a noi.

Settimana prossima si svolgerá nel nord del Mozambico l'incontro annuale dei LMC del Mozambico. Sarà il primo passo per capire la fattibilità di questo progetto.

Forse è presto per parlarne troppo ma è già il momento per iniziare a pregarci sopra.

In ogni caso il tutto sta riempendo confusamente la nostra testa che con difficoltà regge l'urto.

Non vi preoccupate troppo comunque, non siamo in crisi. Quello che stiamo facendo è importante per questa gente e questa è la roccia su cui ci appoggiamo e quindi si va avanti fino alla fine del nostro impegno, ma ciò non toglie che siamo alla ricerca di un modo di farlo diverso.



"Perché siamo partiti?"

di Daniele e Silvia

Credo che sia un vero "domandone"! Per fare certe scelte si presuppone che si debbano avere le idee chiare, ma in realtà non è così...

Abbiamo colto l'occasione per rivedere vecchie lettere scritte per vari gruppi e nelle quali si parlava anche di scelte e motivazioni.

In quelle lettere parlavamo di una sorta di forza invisibile che con molta intensità ci spingeva nella direzione della partenza: lasciare tutto, cambiare vita.

Va bene, ma perché? Qui stavamo bene, avevamo la nostra casa, lavoro, famiglia, amici... Quindi non siamo fuggiti perché non ci stavamo dentro. Però ci mancava qualcosa. Ci sentivamo insoddisfatti, anzi incompleti, come se, appunto, mancasse un tassello a completare la nostra esistenza. Ci sentivamo portati, ci sentivamo fatti per questo, sia emotivamente che fisicamente ed il pensiero della partenza ci rendeva pieni di gioia. Insomma, tante ragioni pratiche, emotive e di coscienza per partire ma come risposta a tutto ciò il blocco della nostra volontà.

Ma allora cosa ci fermava? Perché pensiamo che il "domandone" che più interessa non è "perché siamo partiti?" ma "che cosa ci bloccava?".

Iniziammo varie preparazioni missionarie, partecipammo a incontri, sentimmo testimonianze per poter capire cosa ci stava fermando ma nessuna di queste esperienze riusciva a darci una risposta totalmente esauriente, a farci capire quale era la via d'uscita. Subivamo l'esperienza del rischio e pur essendo di fronte a mille ragioni per cui era giusto partire, non riuscivamo a muoverci. Avevamo bisogno di una grande forza di volontà per superare questo ostacolo o di un "colpo di testa". Tutto quello che ci circondava ci testimoniava la chiamata di Dio, ma ciò non bastava a convincerci.

Ad un certo punto, siccome la cosa per il nostro carattere non era più sostenibile, abbiamo preso il toro per le corna e ci siamo buttati, siamo partiti per il Brasile. Non ci siamo sentiti pronti a partire ma semplicemente chiamati. E ci siamo affidati. Forse, in quella occasione, con troppo azzardo ed irresponsabilità.

Era però per la nostra situazione di allora l'unico modo per risolvere il problema perché ci mancava quella che riteniamo la fonte principale della volontà, ci mancava una "comunità". Quella comunità che poi abbiamo ricercato nei comboniani e che ci ha dato la forza per la nostra seconda e più importante partenza.

Usiamo, per spiegare meglio il concetto, don Giussani, da "Il senso religioso": "C'è in natura un metodo che riesce a darci l'energia di libertà che ci fa superare, attraversare la paura del rischio. Per superare il baratro dei "ma" e dei "se" e dei "però" il metodo usato dalla natura è il fenomeno comunitario. (...) La dimensione comunitaria rappresenta non la sostituzione della libertà, non la sostituzione dell'energia e della decisione personale, ma la condizione dell'affermarsi di essa. (...)

La comunità è la dimensione e la condizione perché il seme umano dia il suo frutto." E abbia significato, aggiungeremmo noi.

La vostra forza, quella che permetterà ad alcuni di trovare la motivazione, il coraggio di partire, sarà la vostra capacità di essere gruppo, comunità che si fa vicina e sostiene che è unità e cammina la stessa strada anche se questo avviene in luoghi differenti. Perché chi parte non lo fa solo per motivazioni razionali o emotive ma anche perché si sente supportato. Le prime due infatti non sono motivazioni sufficienti e ci va di dire che non sono nemmeno motivazioni basate sulla vera fede.

Infatti Cristo ci dice "seguitemi e vedrete" e non "guardatemi e vi sentirete pronti". Prima lo si segue e poi si capiscono le ragioni. Si comprende così il suo piano, che è la nostra motivazione (che ci mette in moto, come dice la parola stessa), che è il nostro rapporto con il destino.

Attraverso l'adesione si verifica la propria vocazione: se si aspetta di essere pronti si rimarrà fermi.

E l'adesione ad una vita nuova implica la nascita di un uomo nuovo che darà poi la coscienza del gesto. È solo attraverso l'impegno con la chiamata che la si può motivare.

Per noi è stata questa la grande lezione di questi anni: è Dio al nostro fianco, attraverso la Chiesa (e per Chiesa intendiamo "là dove saranno due o tre riuniti in mio nome, io sarò con loro"), che ci renderà capaci e pronti, motivati. Affidarsi a lui è la via per poter vivere sereni le nostre decisioni, dalle più stupide alle più importanti. Dio non ci vuole bene perché compiamo grandi e belle gesta, ma ci può far compiere grandi e belle gesta perché ci vuole bene.

La nostra seconda partenza non è stata chiaramente così scontata o affrettata come la prima perché la nostra autocoscienza era maggiore. Capivamo in che maniera profonda era in ballo il nostro futuro, la nostra stessa vita, anzi, il significato della nostra vita. Significato che è mistero. È stato un rischiare ma non un andare allo sbaraglio. Non ci siamo fatti bloccare dalla paura ma abbiamo affrontato la sfida con responsabilità. Abbiamo dato il tempo a Dio per lavorare i nostri cuori e con sincerità abbiamo cercato dentro noi stessi. Ma ad un certo punto l'unico modo per progredire era mettersi in gioco.

La motivazione stessa, per sua natura, per essere capita va innanzitutto vissuta. Costi quel che costi.