Missione e dialogo interreligioso Stampa

Mons. Michael L. Fitzgerald

L'impegno dei laici nel dialogo interreligioso

1. Introduzione

Il dialogo interreligioso è un aspetto della vita stessa della Chiesa, un elemento della sua missione che è andato acquisendo sempre maggiore importanza nel mondo contemporaneo, data la crescente pluralità anche in campo religioso. Nella Redemptoris missio Giovanni Paolo II ha affermato con chiarezza che "il dialogo interreligioso fa parte della missione evangelizzatrice della Chiesa",1 sottolineando il ruolo che in esso hanno i fedeli laici in questi termini: "Tutti i fedeli e le comunità cristiane sono chiamati a praticare il dialogo, anche se non nello stesso grado e forma. Per esso è indispensabile l'apporto dei laici, che 'con l'esempio della loro vita e con la propria azione possono favorire il miglioramento dei rapporti tra seguaci delle diverse religioni', mentre alcuni di loro potranno pure dare un contributo di ricerca e di studio".2

Dopo un accenno al fondamento teologico del dialogo interreligioso e una breve presentazione delle diverse forme che può assumere, si passerà qui all'esame di problematiche quali identità e apertura verso l'altro, collaborazione senza sincretismo, dialogo e annuncio di Cristo, necessità di una adeguata formazione, che saranno trattate tenendo conto del contributo dei laici impegnati nel dialogo interreligioso, sia come individui, sia come membri di associazioni e movimenti che operano in questo ambito. Per concludere, un indispensabile riferimento sarà fatto alla spiritualità cristiana che deve sostenere gli sforzi del dialogo.

2. Il fondamento teologico

Per indicare il fondamento teologico del dialogo interreligioso mi permetto di citare un documento pubblicato nel 1984 dal nostro dicastero e nel quale si afferma: "Dio è amore. Il suo amore salvifico è stato rivelato e comunicato agli uomini in Cristo ed è presente e attivo nel mondo attraverso lo Spirito Santo. La Chiesa deve essere il segno vivo di questo amore in modo da renderlo norma di vita per tutti. Voluta da Cristo, la sua è una missione di amore, perché in esso trova la sorgente, il fine e le modalità di esercizio. Ogni aspetto e ogni attività della Chiesa devono quindi essere impregnati di carità proprio per fedeltà a Cristo, che ha ordinato la missione e che continua ad animarla e a renderla possibile nella storia".3

Qui si tratta della missione della Chiesa in generale, ma quanto detto si può applicare al dialogo interreligioso come elemento di questa missione. La vera fonte del dialogo è l'amore del Padre, un amore manifestato nel Figlio fatto uomo per noi e per la nostra salvezza, un amore riversato nei cuori degli uomini dallo Spirito Santo: "Nel mistero trinitario la rivelazione ci fa intravvedere una vita di comunione e di interscambio".4 Il dialogo, che attraverso scambi e contatti, cerca di alimentare la comunione tra uomini di diverse tradizioni religiose, può essere considerato un tentativo di riprodurre l'armonia della vita trinitaria.

3. Le diverse forme del dialogo

Il documento pubblicato dal Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso parla di quattro diverse forme di dialogo. Non è l'unico approccio possibile, ma questa suddivisione aiuta a capire meglio la ricchezza del concetto di dialogo.

3.1. Il dialogo della vita

La prima forma di dialogo, quella fondamentale, è il dialogo della vita. Il termine indica dei rapporti in cui "le persone si sforzano di vivere in uno spirito di apertura e di buon vicinato, condividendo le loro gioie e le loro pene, i loro problemi e le loro preoccupazioni umane".5

Questa forma di dialogo, che si vive nel quartiere, a scuola, sul posto di lavoro, è aperta a tutti, e forse in particolar modo ai laici. Implica un interesse rispettoso per l'altro in quanto altro, uno "spirito di buon vicinato", la capacità cioè di accogliere e di accettare l'ospitalità quando viene offerta, il desiderio di condividere i momenti felici della vita e di mostrare solidarietà nei momenti difficili. Richiede uno sforzo continuo per costruire buoni rapporti, per creare e mantenere quell'armonia che è condizione di una vera pace, per impedire che le dífferenze religiose possano generare tensioni o siano sfruttate per alimentare conflitti.

Tutti i cristiani devono impegnarsi in tale dialogo secondo le circostanze della loro vita. È certo che alcuni saranno più sollecitati, com'è il caso, ad esempio, di coloro che hanno contratto matrimonio con persone di altre tradizioni religiose. La questione dei matrimoni misti, che può presentare seri problemi per l'identità religiosa, richiederebbe una trattazione specifica che esula dal compito di questa relazione. Qui mi limiterò quindi a segnalare un documento di studio che su questo argomento è stato elaborato dal Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso in collaborazione con l'Ufficio per i Rapporti Interreligiosi del Consiglio Ecumenico delle Chiese.6

Il dialogo della vita viene inoltre praticato da associazioni e movimenti laicali cattolici ogniqualvolta essi cercano di creare rapporti di amicizia con persone di altre tradizioni religiose. Talvolta ciò implica una convivenza per, un periodo di tempo limitato o anche permanente, un'esperienza questa che può far sorgere interrogative e problemi e sulla quale torneremo più avanti.

3.2. Il dialogo delle opere

Essere vicini a persone di altre tradizioni religiose, essere loro prossimo come il buon samaritano, esige uno spirito di servizio. A volte le iniziative, rispondendo a bisogni locale, sono prese in collaborazione e quando questa collaborazione viene strutturata si ha il dialogo delle opere. Si tratta di un dialogo vero e proprio, perché l'azione congiunta presuppone scambi circa le finalità da perseguire, i mezzi da utilizzare e le responsabilità da condividere.

Nella risposta alle sfide che il mondo contemporaneo lancia nel cameo dell'economia e della giustizia, dell'ecologia e della bioetica, dell'educazione e della comunicazione c'è ampio spazio per la cooperazione interreligiosa. I laici hanno generalmente una migliore formazione e competenza per operare in questi ambiti. Spetta quindi a loro adoperarsi per individuare tutte le possibili vie di collaborazione con altri credenti in seno agli organismi locali, nazionali o internazionali. Un contributo di rilievo nel promuovere uno spirito di apertura e un lavoro comune può inoltre venire dalle associazioni laicali che hanno un taglio professionale.

3.3. Il dialogo teologico

Operare insieme è possibile solo quando esiste la fiducia, e la fiducia si basa, almeno in parte, su una buona conoscenza reciproca. Cio evidenzia la necessita di un dialogo dottrinale sulle rispettive eredita religiose, che fondano gli atteggiamenti pratici delle diverse Chiese e Confessioni. Si tratterà di un dialogo di esperti, che affronterà tematiche di natura teologica e spesso anche di natura sociale, e nel quale l'impegno di laici qualificati è auspicabile per non dire assolutamente necessario.

A questo punto occorre affrontare la questione della formazione indispensabile per entrare in dialogo con persone di altre tradizioni religiose. La formazione professionale e culturale da sola non basta, dev'essere complementare alla conoscenza approfondita della propria tradizione e alla capacità di spiegare la dottrina cattolica sulla materia in discussione. Inoltre, sarà auspicabile una certa conoscenza della tradizione dell'interlocutore se non altro per prevenire eventuali incomprensioni.

3.4. Il dialogo dell'esperienza religiosa

"Il dialogo interreligioso non tende semplicemente a una mutua comprensione e a rapporti amichevoli. Raggiunge un livello assai più profonda, che è quello dello spirito, dove lo scambio e la condivisione consistono in una testimonianza mutua del proprio credo e in una scoperta comune delle rispettive convinzioni religiose".7

A questo livello più profondo si può cercare di condividere esperienze di preghiera, di meditazione, di ricerca dell'Assoluto. Il dialogo dell'esperienza religiosa si va sviluppando in questi ultimi anni tra i monaci, e specialmente tra monaci cristiani e monaci buddisti. Il cameo della spiritualità non è però limitato ai monaci o ai religiosi e alle religiose. Oggi, molti laici sono impegnati in diversi servizi spirituali e collaborano nella direzione di esercizi spirituali o nell'accompagnamento spirituale delle persone. Se ben radicati nella loro fede cristiana, essi possono apportare un valido contributo a questa forma di dialogo.

Diversi movimenti e associazioni laicali, che hanno sviluppato una spiritualità loro propria, sono già impegnati in questo tipo di dialogo. Organizzano momenti di preghiera a cui invitano anche persone di altre tradizioni religiose; promuovono celebrazioni speciali; propongono talvolta un "metodo" di riflessione e di approfondimento spirituale.

L'esperienza religiosa non si concretizza soltanto nella preghiera vera a propria e nelle celebrazioni liturgiche, ma anima tutta la vita quotidiana, informata dallo Spirito. Con persone di altre religioni possiamo condividere la gioia di chi crede in Dio, la ricerca della sua volontà, l'amore reciproco fino a dare la vita, l'apertura alla presenza di Dio anche nei rapporti interpersonali, la vita fraterna. La testimonianza che ne deriverà non potrà che attirare altri a entrare in questa comunione d'amore. Perché è un linguaggio comprensibile a tutti.

Si dovrà riflettere sulla natura e lo scopo del dialogo dell'esperienza religiosa. Si può parlare di "ospitalità" nel cameo religioso, ma ci sono delle regole da rispettare, delle buone usanze da osservare, perché sia chi ospita, sia chi è ospitato si senta a proprio agio. E si deve evitare di cadere nel sincretismo, rispettando la propria identità e quella dell'altro.

4. Identità e apertura

Chi desidera un vero incontro con l'altro, chi vuole entrare in dialogo con l'altro, deve avere una consapevolezza pima di sé stesso. Non a caso, tra gli ostacoli al dialogo, l'istruzione Dialogo e annuncio mette al primo posto "una fede scarsamente radicata".8

La consapevolezza di se è in primo luogo una questione di onestà. Per i nostri interlocutori è importante sapere con chi hanno a che fare. Parlare con una persona magari a lungo e alla fine rendersi conto di non conoscerne l'appartenenza religiosa può generare sconcerto. Inoltre la chiarezza circa la propria fede non preclude in alcun modo l'apertura verso l'altro. Al contrario, è proprio la solidità della fede a conferire quello spirito di libertà che consente l'incontro con l'altro e scambi anche approfonditi, annullando il timore di vacillare o di essere messi in imbarazzo.

Questo principio si può applicare pure alle associazioni e ai movimenti laicali. Anch'essi devono rispettare e far rispettare la propria identità. Vi sono associazioni interconfessionali alle quali possono aderire persone di diverse religioni e nelle quali non dovrebbe essere una singola religione a primeggiare sulle altre. Vi sono poi associazioni di carattere non confessionale nelle quali non si dovrebbe tener conto del credo religioso dei membri. Altro è il discorso per le associazioni cattoliche, che fanno dell'adesione alla fede cattolica una condizione sine qua non per la piena appartenenza dei propri membri.

In questo contesto potrebbero sorgere dei problemi, in quanto diversi movimenti e associazioni cattoliche vedono partecipare alle loro attività persone di altre tradizioni religiose. In che misura si dovrebbe permettere tale partecipazione? Ci sono dei limiti? Sembrerebbe una contraddizione che un non cattolico possa occupare una posizione di responsabilità in seno a un movimento cattolico, magari là dove questa responsabilità si estrinseca in settori come la formazione. Meno problematica è la semplice partecipazione alle attività come membri di base. Ma anche qui la natura cattolica del movimento non è da sottovalutare. Sarebbe una ingiustizia privare i membri cattolici di riferimenti specificatamente cattolici, come ad esempio la celebrazione dell'Eucaristia, per non ferire la sensibilità di chi non condivide la medesima fede. Ferma restando l'esigenza di rispettare appieno l'identità cattolica di queste associazioni, si dovrebbero dunque prevedere attività specifiche per i non cattolici che vi aderiscono.

5. Collaborazione senza sincretismo

L'apertura verso l'altro porta al desiderio di un impegno comune. Le motivazioni che spingono a offrire il proprio servizio ai fratelli andranno ricercate nelle rispettive tradizioni religiose, tra i cui principi vi sono certamente delle convergenze, ma anche delle divergenze. Non è il caso di cercare di eliminare le divergenze per trovare un comune denominatore, perché saranno magari proprio queste differenze a stimolare l'approfondimento della verità. Infatti, il dialogo, anche quello delle opere, ha tra i suoi scopi principali il mutuo arricchimento. Tuttavia, nella collaborazione ci vorrà molta prudenza e un grande rispetto per la natura di ogni tradizione religiosa, compresa quella cristiana, perché il sincretismo, con la sua tendenza a creare nuove entità estrapolando elementi dal loco proprio contesto e mescolandoli, rappresenta un impedimento all'arricchimento dell'individuo.

Una particolare prudenza è richiesta nel cameo della preghiera. È naturale che persone di fede, benché di fede diversa, quando vivono insieme, riflettono insieme, si impegnano gli uni con gli altri, avvertano il desiderio di pregare insieme. Come dovranno fare?

Si potrà ricorrere alla formula adottata nell'incontro di Assisi del 1986, dove rappresentanti di diverse religioni si sono riuniti per pregare per la pace. Quindi, non pregare insieme ma radunarsi per pregare. Ad Assisi gli uni hanno ascoltato in riverente silenzio la preghiera degli altri, unendosi spiritualmente al movimento di lode o di supplica, nella consapevolezza che "ogni preghiera autentica si trova sotto l'influsso dello Spirito".9

Nelle associazioni e nei movimenti cattolici che accolgono persone di altre tradizioni religiose, si dovrà dunque cercare il modo più conveniente di pregare o celebrare. L'invito ai non cristiani ad assistere alla preghiera cristiana e pure alla celebrazione dell'Eucaristia, come ricchezza che si vuole condividere con l'altro, è positivo, ma occorre essere coscienti che così facendo si potrebbe accentuare il dolore della divisione. Talvolta potremo essere noi cristiani a chiedere di assistere alle loco preghiere o ai loro riti; in questi casi si avrà un comportamento improntato al massimo rispetto, evitando gli atteggiamenti di chi assiste a uno "spettacolo".

In circostanze non solenni si potrà cercare una formula di preghiera condivisibile da tutti.10

6. Dialogo e annuncio

Il mandato di Nostro Signore impegna la Chiesa a predicare il Vangelo e a invitare tutti a entrare nella comunità dei credenti in Cristo tramite il Battesimo: " Proclamare il nome di Gesù e invitare le persone ad essere suoi discepoli nella Chiesa è un importante e sacro dovere a cui la Chiesa non può sottrarsi".11 Questo dovere si fonda sull'amore di Cristo che ci spinge (cfr. 2 Cor 5:14) e non cessa di fronte al desiderio di un dialogo sincero: "In questo approccio del dialogo, come possono essi [i cristiani] non sentire la speranza e il desiderio di condividere con gli altri la propria gioia di conoscere e seguire Gesù Cristo, Signore e Salvatore?".12

È necessario però ricordare che il dialogo non è un nuovo metodo per annunciare Gesù Cristo: "Il dialogo non nasce da tattica o da interesse, ma è una attività che ha proprie motivazioni, esigenze, dignità: è richiesto dal profondo rispetto per tutto ciò che nell'uomo ha aperto lo Spirito, che soffia dove vuole".13 Nell'annuncio è bene essere coscienti che lo Spirito Santo è il primo evangelizzatore e che il messaggio del Vangelo si propone, non s'impone. Nel dialogo è indispensabile essere consapevoli dell'importanza della testimonianza.

Le associazioni e movimenti di laici sono chiamati a impegnarsi sia nell'annuncio sia nel dialogo, secondo le circostanze e secondo il loro proprio carisma. La scelta dei tempi e delle modalità di attuazione di questi due principi dell'unica missione della Chiesa sarà il risultato di un continuo discernimento della volontà del Signore.

7. Formazione

La pratica del dialogo richiede una formazione adeguata. Le qualità del cuore, della mente e dell'anima - un atteggiamento equilíbrato (né ingenuità né spirito ipercritico); apertura e accoglienza; imparzialità e distacco; desiderio di cercare la verità - sono di primaria importanza, ma non bastano. Tra gli ostacoli al dialogo vi sono "una conoscenza e una comprensione insufficienti del credo e delle pratiche delle altre religioni, [che possono condurre ad] una mancanza di apprezzamento del loro significato e, alle volte, a interpretazioni sbagliate".14

E importante sottolineare che alcuni movimenti e associazioni danno ai propri membri la possibilítà dí formarsi al dialogo e a questo scopo hanno creato dei veri e propri centri di formazione. Aprire tali centri anche ad altri laici significherebbe rendere un grande servizio alla Chiesa.

8. Spiritualità del dialogo

Formarsi al dialogo non vuol dire soltanto conoscere le altre tradizioni religiose; occorre anche e innanzitutto approfondire la conoscenza della teologia cattolica, che è fondata sulle Scritture e la cui autenticità è garantita dal Magistero.

Parlando del fondamento teologico del dialogo si è insistito sul mistero della Santissima Trinità. Una buona spiritualità del dialogo sarà necessariamente trinitaria, perché il modello del dialogo si trova nel Dio uno e trino, che è amore, dono, comunione. E sarà radicata in Gesù Cristo, il Verbo fatto uomo che si unisce a ogni persona. Sara inoltre vissuta in dipendenza dallo Spirito Santo che opera nel cuore degli uomini, nelle tradizioni e nella storia, e comporterà un continuo discernimento della presenza dello Spirito e una risposta generosa alle sue ispirazioni.

Per la spiritualità del dialogo è fondamentale l'esempio di Cristo, la sua kenosis che ci introduce nel nucleo stesso del mistero pasquale. Siccome íl dialogo non è sempre facile ma include quasi necessariamente l'esperienza della Croce, lo sforzo per avere in sé "gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù" (Fil 2:5) sarà fonte di speranza e di una generosa perseveranza.

Avere gli stessi sentimenti di Cristo implica una continua conversione, e conferma che siamo ancora in cammino. Siamo pellegrini, l'umanità intera è in pellegrinaggio verso il destino di comunione che Dio le ha preparato. È questa speranza a sostenerci e a incoraggiarci nella ricerca del dialogo.

Note

1. Giovanni Paolo II, Lettera enciclica Redemptoris missio, n. 55.
2. Ibid., n. 57.
3. Segretariato per i non-Cristiani, L'atteggiamento della Chiesa di fronte ai seguaci di altre religioni (Riflessioni e orientamenti su dialogo e missione), "Acta Apostolicae Sedis" LXXVI (1984), 817-818.§
4. Ibid., 822.
5. Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, Congregazione per l'evangelizzazione dei popoli, Istruzione Dialogo e annuncio, "Acta Apostolicae Sedis" LXXXIV (1992), 428.
6. Cfr. Reflections on Interreligious Marriage. A joint study document, in: Pontificium Consilium pro dialogo inter religiones "Pro Dialogo", 96 (1997), 324-339.
7. Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, Congregazione per l'evangelizzazione dei popoli, Istruzione Dialogo e annuncio, op. cit., 427.
8. Ibid., 431.
9. Giovanni Paolo II, Allocuzione alla Curia Romana, "Insegnamenti", IX, 2 (1986), 2027-2028.
10. Su tutta la questione della preghiera interreligiosa cfr. Pontificium Consilium pro dialogo inter religiones, "Pro Dialogo", 98 (1998 ).
11. Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, Congregazione per l'evangelizzazione dei popoli, Istruzione Dialogo e annuncio, cit., 441.
12. Ibid., 444.
13. Giovanni Paolo II, Lettera enciclica Redemptoris missio, n. 56.
14. Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, Congregazione per l'evangelizzazione dei popoli, Istruzione Dialogo e annuncio, cit., 431.

Ref.: "Pontificium Consilium pro laicis-Laici Oggi", Ecumenismo e dialogo interreligioso: il contributo dei fedeli laici, Seminario di studio, Vaticano 22-23 giugno 2001. Libreria Editrice Vaticana, pp. 109-119.

 

Spunti per la riflessione

 

1.Quali esperienze di confronto attraverso un dialogo interreligioso ci hanno provocato nell'approfondire la nostra religione e la spiritualità comboniana?

 

Dagli Atti Capitolari 2003 - Missionari Comboniani del Cuore di Gesù

La missione dei Comboniani all'inizio del terzo millennio

 

G) Dialogo e annuncio nei contesti interreligiosi

113.La nostra fede in un Dio che è Padre di tutta l'umanità ci assicura che lo Spirito di Cristo ci precede e guida misteriosamente il cammino dei popoli (cfr. RM 28;29;55). Essi hanno sviluppato una grande varietà di espressioni religiose alcune più legate ad un popolo particolare (religioni tradizionali africane, religioni indigene e afro in America), altre con carattere universalistico (islam, buddismo, induismo). Vi sono in queste tradizioni religiose elementi frutto della presenza dello Spirito di Cristo (cfr. RM 56, AG 41). Di conseguenza, annunciamo il Vangelo con atteggiamenti di profondo e rispettoso ascolto dei valori e delle esperienze religiose concrete della gente che incontriamo.

Dalla lettera 2228 di Daniele Comboni

I missionari europei studiano l'arabo, le lingue dei negri e gli altri idiomi necessari alla missione, pigliano conoscenza dei costumi orientali e delle abitudini dei musulmani, con cui avran sempre da trattare anche nella Pigrizia, si addestrano alla maniera di trattare col mondo guasto e corrotto, colle autorità governative e consolari, apprendono un po' di medicina ed arti di prima necessità, e soprattutto studiano i mezzi più acconci e la pratica di guadagnar anime a Dio. In una parola l'Istituto è pel sacerdote una scuola di esperienza e di prova per imparar bene a fare il missionario, per esercitarne convenientemente le funzioni e il ministero nell'Africa Centrale

 

2. A che punto è la nostra conoscenza sulla realtà islamica nel nostro paese?

3. Quali sono le fonti che usiamo per approfondire le nostre conoscenze al riguardo?

 

Lettera aperta di famiglie musulmane

Ai cristiani presenti nel distretto di Sassuolo

Auguri di Natale

 

"Siamo un gruppo di famiglie musulmane che vivono ed operano da anni nel Distretto della ceramica.
La nostra comunità religiosa è vicina alla comunità cattolica per la festa grande che vivrà a giorni: il Natale di Gesù.

In questi anni abbiamo avuto l'opportunità e la fortuna di avere incontri, conoscenze e un dialogo franco e proficuo con famiglie cristiane (vedi l'esperienza del gruppo Camminare Insieme).

La simpatia e la fraternità sono cresciute, oggi esiste un significativo rispetto reciproco.
In occasione delle nostre feste: Ramadan, Festa del Sacrificio, etc.. abbiamo sentito la vicinanza e abbiamo ricevuto gli auguri dei nostri fratelli e sorelle di fede cristiana.

Oggi tocca a noi fare gli auguri, essere vicini e pregare per l'evento che ricorda la nascita di un grandissimo profeta, Gesù, venerato da tutto l'islam.
Cogliamo questa occasione inoltre per fare chiarezza su come si stia strumentalizzando la questione della realizzazione del presepe nelle scuole o nei luoghi pubblici.

Noi non siamo assolutamente contrari a queste tradizioni, anzi, riteniamo che fare memoria di un evento, non vergognarsi della propria identità sia un modo, che abbia valenza educativa, e aiuti a far crescere nelle nuove generazioni il rispetto per gli altri e per il credo che professano.

A nome della comunità che si incontra e prega nel luogo di culto di Via Cavour le famiglie:

Zahi, Amzil, Choukrate, Jadyane e Boudadouche

 

Sassuolo, 20/12/2006

(dal sito http://www.ildialogo.it/)

 

Dalla Bozza intesa tra la Repubblica Italiana e l'Unione delle Comunità ed organizzazioni islamiche in Italia (UCOII)

 

La Repubblica Italiana e L'Unione delle Comunità ed Organizzazioni Islamiche in Italia, considerato che la Costituzione riconosce i diritti fondamentali della persona umana e la libertà di pensiero di coscienza e di religione, riconosciuta l'opportunità di addivenire a tale intesa convengono che le disposizioni seguenti costituiscono intesa tra lo Stato e la confessione islamica ai sensi dell'articolo 8 della Costituzione.

Art. 1 Libertà religiosa; Art. 2 Guide del culto; Art. 3 Venerdì; Art. 4 Altre festività religiose; Art. 5 Assistenza religiosa; Art. 6 Prescrizioni religiose; Art. 7 Assistenza religiosa ai militari; Art. 8 Assistenza religiosa ai ricoverati; Art. 9 Assistenza religiosa ai detenuti; Art. 10 Istruzione religiosa nelle scuole; Art. 11 Scuole islamiche; Art. 12 Matrimonio; Art. 13 Abbigliamento tradizionale; Art. 14 Gli edifici di culto; Art. 15 I cimiteri; Art. 16 Beni culturali e ambientale; Art. 17 Comunità islamiche; Art. 18 Unione delle comunità ed organizzazioni islamiche in Italia; Art. 19 Deposito dello Statuto; Art. 20 Registro delle persone giuridiche; Art. 21 Attività dell'Unione e delle comunità; Art. 22 attività di religione di culto e attività diverse; Art. 23 regime tributario; Art. 24 Costruzione degli edifici di culto; Art. 25 Deducibilità dei contributi; Art. 26 Previdenze per le guide del culto; Art. 27 Norme di attuazione; Art. 28 Ulteriori intese; Art. 29 Entrata in vigore; Art. 30 Legge di approvazione dell'intesa.

(dal sito http://www.islam-ucoii.it/)

 

Da Nigrizia Gennaio 2007

Scuole Arabe ed Integrazione di Mostafa el Ayoubi

Siamo sicuri che siano la soluzione migliore per i bambini immigrati? L'esempio di Mazara del Vallo non è incoraggiante. E lo Ius sanguinis fa acqua da tutte le parti.

 

Le polemiche sulla scuola Araba di via ventura a Milano sono ormai acqua passata, almeno per ora.Dopo settimane di rinvii dell'apertura dell'Istituto "Najib Mahfud" sono state concesse le autorizzazioni previste dalla legge e i bambini di origine araba hanno cominciato il loro anno scolastico a novembre, due mesi dopo i loro coetanei italiani. La mobilitazione ideologica della Lega Nord contro quella che è stata a torto chiamata "la scuola Cranica" (che è tutta un'altra cosa) non ha portato ai risultati sperati, ovvero impedire l'apertura di una scuola privata araba. I promotori del progetto della scuola egiziana avevano dalla loro parte articoli della Costituzione e il regolamento giuridico Italiano, che garantiscono ai privati cittadini di istituire le proprie scuole private nel rispetto delle leggi.

Hanno, quindi, vinto gli ideatori della scuola, i genitori e le associazioni laiche che le hanno sostenute in questa battaglia; hanno, invece, subito una battuta d'arresto - ma non mancheranno le occasioni per riprendere il loro cammino xenofobo la prossima volta che toccherà a qualche moschea o a qualche donna velata- tutti coloro che nutrono odio e rancore nei confronti dell'immigrazione, specie quella di origine islamica, considerata una minaccia per l'identità occidentale cristiana.

Tuttavia in questo scontro ideologico, si è dimenticata una questione centrale relativa ai bambini che ora frequentano la scuola araba: che ne sarà della loro integrazione? Gli alunni sia delle elementari sia delle medie, 130 in totale, divideranno l'orario scolastico tra l'arabo e l'italiano, seguendo contemporaneamente il programma scolastico italiano e l'egiziano. Ci viene da chiedere quanto tutto ciò sia produttivo per questi ragazzi, in termini di scolarizzazione da un lato e di integrazione sociale dall'altro.

I sostenitori di questa scuola araba affermano che si tratta di un progetto pilota, che potrà fornire un buon livello d'inserimento di questi alunni e promuovere il multiculturalismo nella società italiana.

In realtà non è la prima volta che si sperimenta in Italia questo tipo di scuola. Sin dal 1981, a Mazara del Vallo, in Sicilia, esiste la Scuola tunisina. Fino a due anni fa era ospitata all'interno di un edificio scolastico pubblico. I bambini di origine tunisina seguivano un programma conforme a quello del Ministero della Pubblica Istruzione Tunisino. Questa scuola c'è tuttora e ha una sua sede privata. I risultati del "laboratorio culturale" mazarese sono tutt'altro che soddisfacenti, anzi, sono disastrosi: alla fine della scuola elementare araba, i ragazzi non rientrano in Tunisia, come si pensava. Il loro inserimento nella scuola pubblica è molto difficile ed i risultati sono spesso molto deludenti. Tale situazione ha comportato un alto tasso di abbandono scolastico. Oggi, nelle strade di questa città siciliana girano senza meta giovani tunisini nati in Italia, il cui futuro è molto incerto e per i quali la strada della delinquenza sembra più praticabile. È questa l'integrazione sociale che si vuole raggiungere?

Tutte le comunità immigrate possono, per principio, istituire le loro scuole. Tuttavia, bisogna chiedersi che cosa è utile per i bambini e per il loro inserimento nella società. Come mai, ad esempio, vi sono tanti genitori immigrati musulmani che vogliono educare i propri figli nelle scuole private e non pubbliche? Che disagio c'è dietro questa scelta che, alla fine, risulta dannosa per i loro figli, come dimostra il caso di Mazara del Vallo?

Il motivo è duplice: un inadeguato sistema pedagogico educativo e un ritardo nel sistema politico legislativo. Sul piano didattico la scuola pubblica non garantisce un adeguato inserimento che tenga conto del radicale cambiamento della popolazione scolastica. Sono circa 500mila gli alunni non italiani e, in alcune realtà, le classi sono composte per il 15-20% da ragazzi di origine immigrata. La composizione culturale, religiosa ed etnica all'interno della scuola pubblica è cambiata molto, ma i programmi non tengono conto in maniera strutturale di questo cambiamento.

Sul piano legislativo, L'Italia non dispone di un modello di integrazione in grado di dare certezze ai bambini figli di immigrati che, se nati o/e cresciuti in questo paese e studiano nelle scuole pubbliche, rimangono comunque immigrati perché in Italia vige ancora il principio dello Ius sanguinis: un figlio di genitori marocchini, piuttosto che cinesi o indiani, rimane straniero anche tra i banchi della scuola; e, stando alla legge attuale sulla immigrazione, all'età di 14 anni deve anche subire l'umiliante esperienza di fare la fila davanti alla questura per avere il permesso di soggiorno (che forse può anche non bastargli per partecipare con i suoi compagni di classe ad una gita scolastica fuori dal territorio Italiano).

Se i bambini che oggi frequentano l'Istituto privato di via Ventura fossero, per legge, cittadini italiani, i loro genitori non avrebbero, probabilmente scelto d'iscriverli ad una scuola araba patrocinata dal Consolato Egiziano.

 

4. Quale impegno possiamo prenderci nel concreto come Laici Comboniani?

Confronto sull'organizzazione e la giornata della Festa dei Popoli